I
lampioni di Piazza Matrice.
Il territorio d un paese è come l’organismo umano. Bisogna averne cura, perché in caso d’incuria soffre per poi soccombere. In questo nostro paese si decide all’insegna del pressapochismo, senza che nessuno batta ciglia sul merito di certe discutibili iniziative. Come sia potuto accadere, mi chiedo, per esempio, che quei lampioni di rara bellezza che ornavano Piazza Matrice, siano stati, rimossi e collocati, se non erro, nella Villa Milana.La loro solenne presenza in quel posto dava alla piazza un’aria aristocratica da “Belle epoque”. Nella Villa Milana, invece, quei capolavori di arte tardo romantica si confondono con le numerose piante, perdendo valore e fascino. La visione di quei lampioni suggeriva una concezione romantica della vita, rappresentata dalla suggestiva canzone di Modugno “L’uomo in frac” Si diceva: “ Come sia potuto accadere…..”. Purtroppo in quel periodo di felice fermento del paese, sì intrecciavano interessi di bottega. Accadeva, infatti, che si lucrasse su certi lavori pubblici, per cui “il fare” si mescolava “al ricevere”, eseguendo opere pubbliche, nella certezza di ricavare benefici personali. Lo spostamento dei lampioni dalla Piazza a Villa Milana, con la scusa di rinnovare l’illuminazione del sito, con altra ben più moderna, rappresentava una ghiotta occasione di spesa, che non andava sprecata. Se questo spostamento comportasse una scelta scellerata, poco importava, suffragata, com’era, dall’indifferenza del paese. Altro esempio, la costruzione del ponte sulla linea ferroviaria della Circum etnea. S’iniziava l’opera sfruttando un finanziamento, pur con la consapevolezza di non poterlo ultimare, lasciandolo incompiuto per oltre trent’anni. Poco importava se quel manufatto incompiuto deturpasse un quartiere. La logica era sempre la stessa: spendere e spandere, ossia sperperare al fine di lucrare. Oggi la politica è cambiata: non si fa nulla. Siamo caduti dalla padella nella brace. In compenso è accresciuta l’attenzione verso il territorio, non certamente nei confronti del tessuto urbano, che continua a essere ignorato, ma su problemi più ordinari: la raccolta della spazzatura, la circolazione viaria, la refezione scolastica, ecc. Abbiamo perso l’abitudine di pensare in grande e viviamo di rendita, quella lasciataci da chi ci ha preceduto. E i giovani? Hanno altro cui pensare, troppo fragili per accettare le difficoltà e gli inciampi che la vita gli offre. Soffrono per mancanza di prospettive. Da qui la loro voglia di cambiare tutto, senza però una visione valida su cui far confluire il loro sforzo. In quest’epoca di transizione non ci resta, dunque, che segnare il passo, in un’attesa indolente e senza scopo.
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