lunedì 30 aprile 2012

Non festa ma commemorazione del lavoro

Il prossimo primo maggio si celebrerà la festa del lavoro. Le organizzazioni sindacali si stanno organizzando per il “lieto evento”. Con questo “chiaro di luna” non si comprende cosa ci sia da festeggiare. Poiché noi alle feste comandate non possiamo rinunziare, a partire dalla festa dell’Unità d’Italia, rimasta una pia illusione, per finire alla festa della donna, vittima di soprusi, violenze ed emarginazione, la festa del lavoro è l’ennesima occasione per fare baldoria. Bandiere, tamburi, sfilate, comizi sono le uniche iniziative che ci rimangono in nome di una sacrosanta aspirazione che col tempo si è trasformata in disperazione individuale e collettiva. Se non fosse per il dramma quotidiano che si vive su questo fronte, la festa del lavoro dovrebbe essere più propriamente una commemorazione come si fa con la ricorrenza dei defunti. Monti dopo le varie “crescenze” inventatesi ne ha lanciato un’altra “ cresci Italia” Il termine si presta a diverse interpretazioni, ma probabilmente sottintende il concetto che l’unica cosa che cresce i Italia è il malcontento. Il “lievito” per la crescita c’è già: tasse e disoccupazione. Senza investimenti pubblici e privati combattere la disoccupazione è un sogno. In quanto a investimenti pubblici, mancano i soldi. Per quelli privati stando alle dichiarazione dello stesso Monti la corruzione fa da freno. Poiché la corruzione non riguarda il popolo, ma la classe politica, una volta tanto Monti farebbe cosa buona e giusta se ai politi facesse fare dei corsi di catechismo laico, onde introdurre quella moralità senza la quale, sono parole sue, gli investimenti languono. In alternativa: tutti a casa, per favore. Pubblicata su La Sicilia il 30.04.2012. Saro Pafumi

domenica 29 aprile 2012

Quel che rimane del glorioso collegio dei Padri Domenicani

Se la notizia che in questi giorni, a Linguaglossa, corre di bocca in bocca trova conferma, un pezzo di storia paesana, a breve, entrerà negli archivi cittadini. Mi riferisco alla temuta chiusura della “Casa San. Tommaso”, più propriamente nota come Collegio dei Padri Domenicani. Un tempio di studio e di formazione per tanti giovani siciliani e calabresi, che da questo luogo hanno mosso i primi passi per affermarsi onorevolmente nel mondo del lavoro. Un collegio, fortemente voluto dai Padri Domenicani, dove la lingua dei nostri padri, latini e greci, non era un semplice idioma da studiare, ma la nostra storia da apprendere. Achille, Ulisse, Ettore, Enea, Omero, Orazio, Virgilio Tacito, Cicerone entravano e uscivano dalla nostra cartella, assieme alla merendina che la mamma amorevolmente ci confezionava. Poi era il ruolo degli insegnati a fissarceli nella mente. Padre Pintacuda, Cascio, Barilaro, Ciadamidaro, esempi d’infinita sapienza, per finire ai vari Bottino e Magro che avevano a cura la nostra anima (religione) o il nostro fisico (sport). Poi l’età e il tempo logorò la forza di questi pionieri e le successive generazioni di Padri domenicani, salvo qualche raro esempio, non ressero alle sirene del mondo laico. Senza l’entusiasmo della fede, della cultura e della passione chi successe ai Padri fondatori seminò macerie e presto il Collegio travolto da beghe, egoismi e difficoltà non resse all’opera grandiosa per cui era stato realizzato. Fu la fine, o, ahimè la sua metamorfosi. Da luogo di sapere, divenne Casa Albergo per turisti con le conseguenze commerciali e prosaiche di una simile trasformazione. Quando mi capita di passarci accanto non vedo affacciarsi alle finestre i miei insegnanti con i loro riconoscibili e amati scapolari bianchi, la loro dottrina e la loro sapienza; nelle aule scolastiche non si ascolta più la timida voce degli studenti intenti a recitare: “Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei”, nel cortile non ci sono i carri immaginari degli Achei e dei Troiani a fare da cornice alla sfida a singolar tenzone tra Achille ed Ettore, ma Bus e Corriere. L’amicizia tra Eurialo e Niso, su quei banchi di scuola, fu stile di vita, non metafora di virgiliana memoria, se è vero che anche dopo mezzo secolo alcuni di noi studenti coltiviamo antiche amicizie come fiori appena coperti dalla fresca brina del tempo. Nelle aule non si avverte il suono del gesso che stride sulla lavagna, ma il rumore prosaico e godereccio delle postate sui piatti, confuso al vocio dei vacanzieri. Più che una metamorfosi, una “profanazione” di quello che fu tempio di cultura e di fede. Oggi anche la Casa Albergo registra la sua decadenza. Una struttura sepolta da canoni, tributi, imu e balzelli vari. La diva stavolta canta “l’ira funesta che infinito adduce lutto” ai linguaglossesi. Il tempo, mi auguro, vorrà almeno risparmiarci la rovina fisica del suo “colonnato”, perché se non così fosse gli spiriti dei vecchi Padri fondatori, aleggerebbero, a ragione, tra le sue rovine per riappropriarsi di ciò che al loro è stato rubato per sempre e alla cittadinanza il vanto di annoverarlo tra le sue virtù Pubblicata su La Sicilia il 29.04.2012 Saro Pafumi

mercoledì 25 aprile 2012

Controllo velocità sulle strade, se lo Stato bara.

Se c’è una dote della quale noi italiani non difettiamo, è l’originalità Siamo nelle invenzioni talmente bizzarri da essere unici. Prendete per esempio i cartelli stradali che, numerosi, s’incontrano in molti centri abitati: “Zona soggetta a controllo elettronico della velocità”, Nove volte si dieci tali cartelli sono come gli “spaventapasseri” servono a scoraggiare l’automobilista dal premere sul pedale, anche se contravvenendo, non si corre alcun pericolo, per la semplice ragione che il controllo è una bufala. Le autorità che hanno inventato questo segnale ci considerano come i volatili in un campo di grano, anziché suonare il campanaccio, preferiscono il cartello-burla. La ragione di siffatta invenzione? Poiché non siamo in grado di controllare niente, ci affidiamo al messaggio-burla: Un po’ come fa l’agricoltore che nel suo pescheto appone un cartello con la scritta: “ Alberi irrorati con pesticidi. Pericolo di morte”, ignorando che il ladro sa perfettamente quando e come rubare. O altro cartello: “Attenti al cane” che è come confessare: qui non c’è nessuno di guardia. Ma il più alto grado di bizzarria lo raggiungiamo quando il controllo esiste veramente. In questi casi l’Autorità fa di tutto per ingannare l’automobilista, cercando di mimetizzare il segnale con vari accorgimenti. Una trovata che ha qualcosa d’infantile come il gioco a nascondino, a chiapparella, a guardie e ladri. In effetti a noi con la legge, le norme, i regolamenti ci piace giocare, come si fa col gioco dell’Oca. Esempio: Ti condanno a vent’anni, ma te ne faccio scontare sette; t’infliggo una sanzione amministrativa da cinquecento a cinquemila euro, che ridotta a metà del minimo si riduce a duecentocinquanta, di cui pagando subito un sesto, la somma dovuta è di euro quarantuno e sessantasette Un po’ come fa il marocchino di turno che al mercato per un tappeto ti spara in faccia mille euro e poi chiude la partita a cinquanta. Resti sempre col dubbio che quel tappeto potevi pagarlo anche venticinque euro. Del resto anche i codici sono una cabala, perché ciascuno lo interpreta a modo suo. A un giovane pretore al quale avevo fatto notare che la Cassazione nel caso in esame aveva deciso in un determinato modo, la stupefacente risposta è stata: “ la Cassazione sono io”. Quando si dice che l’originalità supera ogni immaginazione. Chiedo: Se lo Stato che dovrebbe guidare, bara, il cittadino come dovrebbe comportarsi”. Pubblicata su La Sicilia il 25.04.2012 Saro Pafumi

lunedì 23 aprile 2012

Epulone e Lazzaro

Spesso da parte delle forze dell’ordine sono eseguiti sequestri di CD contraffatti. Le vittime in questi casi sono due: i falsari, di solito extracomunitari e gli autori dell’opera illegalmente riprodotta. Che tale riproduzione costituisca reato mi pare estremamente chiaro. Eppure, chissà perché nutro una certa simpatia per questi falsari che vivono degli avanzi dorati degli autori (cantanti e/o compositori). Incominciamo a chiarire che in questi casi “il falso è dichiarato”, perché chi acquista, è consapevole che quel CD è una riproduzione fraudolentemente copiata. La qualità del prodotto lascia a desiderare e il prezzo decisamente economico lo fa intendere. Il CD, contraffatto procura danni agli autori, ma non mi pare che costoro versino in cattive condizioni economiche a causa di CD contraffatti, anzi per certi versi di miliardi son piene le loro tasche. E giustamente, il talento paga. E allora perché tali reati sono perseguiti con tanto rigore? La spiegazione, a mio parere, è da ricercare nell’interesse dello Stato che dalla vendita di CD falsi non guadagna il becco di un quattrino. Come dire: lo Stato persegue il reato non per punire l’autore (questo tipo di reato è quasi sempre privo di effetti pratici, se si esclude il sequestro della merce), ma piuttosto per tutelare se stesso. In questa triste vicenda ci sono pertanto tre categorie interessate al fenomeno: gli artisti, lo Stato, il falsario. I primi navigano nell’oro, il secondo non si accontenta mai, il terzo (mi riferisco all’extracomunitario con la bancarella) lo fa per fame. Non ho difficoltà ad ammettere che tra il ricco Epulone e Lazzaro preferisco quest’ultimo. Pubblicata su La Sicilia il 22.04.2012 Saro Pafumi

venerdì 20 aprile 2012

Sanzioni e privacy

Vorrei vivere in un paese in cui la democrazia sia una realtà, la privacy, una certezza e la legge rispetti la dignità. Nessuno di questi invocati diritti ha da noi completa applicazione. Prendo spunto dalla lettera su questa rubrica ( pg. 36 del 12.04 ( Quando la tutela della privacy….) per dissentire dalle considerazioni del lettore. Mi spiego. In Italia c’è l’abitudine, ormai radicata, di emettere sentenze ( inappellabili) prima che i fatti accaduti e pubblicati siano oggetto di verifica giudiziaria. I vari processi mediatici sono l’emblema di questo diffuso malcostume. Si è condannati da un processo televisivo prima ancora che l’autorità giudiziaria abbia finito di svolgere le sue indagini, spesso condizionati da prove giornalistiche senza che esse siano state oggetto di valutazioni giudiziarie. In quanto al rispetto della dignità umana, siamo ancora in pieno medioevo ( le condizioni carcerarie sono un esempio). La privacy è acqua fresca. Tornado al punto di partenza, ossia alla lettera da cui ha preso spunto la mia riflessione, trovo sconcertante che un verbale dei NAS a carico di un esercizio pubblico debba comportare la sua pubblicazione con tanto di nome e cognome del verbalizzato. Ciò per una semplicissima ragione. Il verbale, se non erro, consente alla parte verbalizzata di presentare le sue osservazioni entro i termini contenuti nel verbale. E’ una forma di garanzia a tutela del verbalizzato al quale è concesso di presentare le sue ragioni (fondate o no che siano) Solo alla fine delle indagini ( amministrative o giudiziarie) finisce l’iter sanzionatorio, che, non dimentichiamolo, potrebbe concludersi con il proscioglimento del verbalizzato/imputato Qualunque anticipazione su fatti e avvenimenti accaduti dovrebbe a mio giudizio, subire una “sospensiva in itinere”. Questo purtroppo non avviene e tra le due necessità, pubblicazione del nome o sua privacy, personalmente per ragioni di civiltà, propendo per quest’ultima. Si obietta: le lungaggini burocratiche vanificherebbero indagini e conclusioni: Verissimo. Non è certamente in nome dei pregiudizi e della superficialità che si possano calpestare i diritti. Talvolta varrebbe la pena di ascoltare la saggezza del Guerriero Apache: “ Grande Spirito preservami dal giudicare un uomo non prima di avere percorso un miglio nei suoi mocassini”. Un principio recepito dalla nostra Costituzione, ma sempre disatteso, salvo a ricordarcelo quando ci riguarda. Che strano l’uomo: brancola nel buio, l’unica certezza riguarda gli altri. Pubblicata su La Sicilia il 19.04.2012.Saro Pafumi

lunedì 16 aprile 2012

Fondachello, almeno si rimuovano i rottami ferrosi.

Spesso mi capita di percorrere la strada che da Fiumefreddo porta a Fondachello e viceversa. Per chi come me che abita a pochi chilometri da questo splendido lungomare la circostanza si ripete e tutte le volte un velo di tristezza percuote la mia mente come una frustata che proviene dall’esterno. Il perché di questa sgradevole sensazione è presto detto. Il degrado in cui versa questo tratto di lungomare è ben visibile. Da un lato i ruderi di quelle che furono “le cartiere” giacciono immobili come monumenti all’abbandono e all’incuria umana, dall’altro una riserva arborea di eucalipti decrepiti impedisce la visione di un panorama marino tra i più belli della zona. Le ex cartiere, si è appreso dalla stampa, sono oggetto di progetti per la loro riconversione. Poiché come avviene spesso, tra il dire e il fare passano decenni, intanto sarebbe cosa giusta e saggia rimuovere i rottami ferrosi che offendono prima il paesaggio e poi l’uomo. Sarebbe già questo di per sé un primo risultato. Resta la riconversione: il cittadino è paziente, data la lentezza, a sperarlo saranno i nostri pronipoti. Lato mare, gli eucalipti, quelli sopravvissuti, s’interrogano essi stessi sulla loro funzione, ondeggiando sconsolati tra il furore del vento marino e l’incuria di chi dovrebbe proteggerli o eliminarli. Eliminarli sarebbe più opportuno per dare respiro al panorama marino che, percorso a piedi o in macchina, offrirebbe una visione magica dell’insieme costiero. Purtroppo, mentre il tempo implacabilmente passa, si continua a non far niente. Le Autorità preposte alla soluzione del problema? Sono come gli eucalipti ondeggianti e decrepiti: si palleggiano le responsabilità. I primi si possono sradicare o abbattere, i secondi resistono, imperterriti, anche alla salsedine dell’ inerzia.
Pubblicata su La Sicilia 17.04.2012 Saro Pafumi

domenica 15 aprile 2012

Una nuova Autorità in Italia

In Italia bisognerebbe introdurre una nuova Autorità: Il Garante contro le stronzate. I politici parlerebbero di meno, le statistiche sarebbero più veritiere e lo spread diminuirebbe a vista d’occhio. La disputa a proposito degli “ esodati” è un esempio. La Fornero parla di sessantacinquemila, la Camusso di oltre trecentocinquantamila. In realtà sono molto di più, si parla di molti milioni. La confusione sta nel termine, perché occorre includere anche “ i sodomizzarti” dalle varie riforme Monti. Saro Pafumi

sabato 14 aprile 2012

Giarre e Riposto nel triangolo delle Bermude

Giarre e Riposto, ossia “il triangolo delle bermude”, altrimenti detto “Il triangolo del diavolo” E’ un luogo, quest’ultimo, sito nell’oceano atlantico, assai misterioso, dove, a quanto pare, la leggenda e la realtà s’incrociano. Questo triangolo è noto alle cronache per le sparizioni inusuali di navi e aerei, per fatti e avvenimenti strani, per episodi inspiegabili e notizie inquietanti. Su tutto non si è mai trovata una risposta convincente. Il parallelismo con Giarre e Riposto non è casuale, perché qui i roghi delle auto avvengono con puntuale, quotidiana frequenza e rientrano tra gli eventi inspiegabili e misteriosi, come nel “triangolo del diavolo”. Un enigma ancora irrisolto dove, in questi due Centri, “il diavolo”, non ha le ali di pipistrello, piedi caprini, testa cornuta e in mano una fiaccola accesa, simbolo del fuoco ardente dei vizi e degli istinti. Qui, a casa nostra, “il diavolo “ ha verosimilmente il volto di Turiddu, di Bastianu, di Iaffiu, di Sidoru, di Petru, per rimanere tra i nomi locali, in mano un accendino, simbolo di potenza e di ricatto. Poiché il diavolo preferisce le strade buie e solitarie, la sua sconfitta non è vicina e le indagini languono, non ci resta che invocare la preghiera dell’esorcista: “ Spegni, Signore, con il soffio della Tua bocca, il fuoco dei piromani, ricordaTi dei nostri fratelli che ci hanno preceduto nel fuoco degli incendiari, comanda a quest’ultimi di andarsene, perché qui la legge terrena non è di noi. Amen”.
Pubblicata su La Sicilia 15.04.206. Saro Pafumi

lunedì 9 aprile 2012

I giovani senza lavoro, Monti e ...una lira di "trattinitimi"

A sentire le statistiche, un giovane su tre non lavora. Non so se questi dati comprendono i giovani precari che, considerati “occupati”, fanno battere la bilancia dalla parte dei più fortunati. Se così fosse, come c’è da scommettere quando si parla di statistiche, il rapporto s’invertirebbe. Ammettiamo che i dati siano attendibili. Cosa ne facciamo del restante trentatré per cento? Il prof. Monti ha avuto l’illuminante idea di consentire a chi vuol fare impresa ( il che significare di cercarsi un lavoro in proprio) di potere aprire una società con appena un euro di capitale sociale. Se la condizioni di tanti giovani non raggiungessero un elevato grado di tragicità esistenziale, la trovata del Professore meriterebbe il premio Nobel in diritto del lavoro. Immaginate un giovane che con la cartella sotto braccio, contenente la nuova costituita società, pieno di propositi, entri in banca, trionfante, per accedere a un finanziamento. Ne uscirebbe a calci nel sedere tra le risate di quanti hanno avuto la ventura di ascoltarlo. La trovata del professore mi fa venire in mente mio padre che quando si era scocciato di sentirmi chiedere, con petulanza, qualcosa mi dava una lira in mano raccomandandomi di recarmi nel negozio più vicino per acquistargli appunto una lira “di trattinitimi”. L’ingenuità giovanile non mi faceva percepire l’originale sottigliezza della trovata paterna, ma l’esercente che ascoltava la mia richiesta mi dava una sedia, pregandomi di aspettare. Oggi i tempi sono cambiati, i giovani altrettanto e l’ingenuità non è più quella di una volta. Eppure, paradossalmente c’è ancora chi come il professore, ha la faccia di tosta di dire ai giovani: “Te, eccoti un euro, vai in banca e chiedi un euro di “trattinitimi”. Domanda “Quelli che si laureano alla Bocconi, sono tutti così…..?”
Pubblicata su La Sicilia 09.04.2012. Saro Pafumi

sabato 7 aprile 2012

A tutti un mio speciale augurio per Pasqua.


In un tempo, ahimè, ormai remoto, a Pasqua l’appuntamento di noi ragazzi, a Linguaglossa, era a mezzogiorno davanti alla Chiesa Madre. La sera precedente era un’affannosa ricerca di “troccule” di tutti i tipi, perché il loro rumore doveva essere assordante come l’evento eccezionale che si doveva festeggiare: “vidiri abbrivisciri Cristu”, da dietro l’altare maggiore, con lo stendardo in mano e una nuvola d’incenso che l’accompagnava. Avvenuta la risurrezione Il suono delle “troccule”, in piazza, si mescolava allo scampanio assordante delle campane a festa, perché a quell’ora Cristo risorto era la vittoria della vita sulla morte. Pochi giorni all’anno capitava tanta allegra spensierata partecipazione dei giovani ai riti religiosi e la Pasqua era l’unico giorno in cui il cuore di noi giovani era pieno di gioia e di meraviglia. Di gioia perché la risurrezione apriva i cuori alla speranza; di meraviglia perché l’assurgere di Cristo da dietro l’altare si accompagnava all’emozione fanciullesca che la scenografia sacra rappresentava. Ogni attimo di ritardo sull’orario previsto portava con sé una crescente trepidazione negli astanti, specie di noi giovani che, quell’evento, vivevamo con straordinaria, fresca, autentica ingenuità. Ancora col profumo d’incenso nelle narici, si correva fuori dalla Chiesa in un festoso, crescente delirio, con la “troccula” che azionata a mano o fanciullescamente spinta su ruota finiva di essere un semplice, rustico, rumoroso arnese di legno, per trasformarsi in un magico, liberatorio grido di vittoria sulla morte che la risurrezione di Cristo trasmetteva ai nostri cuori. Oggi che la Pasqua, spostata a mezzanotte, ha lasciato per strada la festosa ingenuità di molti giovani, un auguro rivolgo a tutti, in occasione della Santa Pasqua: poter rivivere nella mente il magico, festoso suono delle “troccule” e nel cuore la fresca giovanile gioia per la risurrezione di Cristo, accompagnata da quel magico profumo d’incenso che ciascuno ha gelosamente custodito in qualche cassetto della propria memoria. Un saldo all’indietro, quando la Pasqua era giovinezza. spensieratezza, freschezza, ingenuità, allegria e Cristo risorto un’emozione, oggi sbiadita.Saro Pafumi

giovedì 5 aprile 2012

L'Etna patrimonio dell'umanità


E’ di pochi giorni la notizia che la Commissione Unesco vorrebbe comprendere nella lista dei siti definiti Patrimonio dell’Umanità il nostro Etna. Dopo le Eolie e le Dolomiti quest’ambito traguardo potrebbe estendersi alla nostra “ montagna”. Un’occasione da prendere al volo perché essere inclusi in quest’elenco significa che il sito rappresenta di per sé una riconosciuta, particolare importanza dal punto di vista culturale e naturale. L’ufficialità è importante, perché rappresenta l’internazionalità riconosciuta del sito. Per la verità non c’era bisogno dell’Unesco per prendere coscienza dell’importanza culturale e naturale dell’Etna: la sua storia, la sua morfologia, la sua natura lo fanno un sito unico in tutta Europa. Siamo noi abitanti a sottovalutarlo o meglio a non saperlo sfruttare dal punto di vista culturale che naturale. Le Autorità dolomitiche dopo l’inclusione delle loro montagne nel sito Unesco hanno preso una serie di nuove iniziative per sfruttare al meglio l’occasione, come se non bastasse l’alto grado di sviluppo turistico raggiunto. E per far ciò hanno parlato di nuovo “sviluppo responsabile”. Noi invece fino adesso abbiamo sempre intrepretato l’Etna sotto il profilo dello “sviluppo sostenibile”. La differente terminologia non è di poco conto. Lo sviluppo responsabile prevede una serie d’iniziative volte a “incrementare” iniziative turistiche e culturali, mentre lo sviluppo sostenibile tende a “limitare” tali iniziative, come finora è avvenuto. Un esempio. Che senso ha, per esempio, l’avere impedito la costruzione di una funivia sul versante Nord dell’Etna con la scusa che il tipo d’ambiente non sopporta questo particolare stress turistico se poi si permette l’arrivo in alta quota di migliaia di auto e si continua a costruire in cemento armato? E’ questa la sbandierata, assurda sostenibilità del sito etneo? Ciascuno può avere le proprie opinioni, ma quando “certe opinioni” coltivate da chi vuol fare “cultura” diventano leggi, regolamenti, progetti, piani regolatori del tutto avulsi dalla realtà, perché inconcludenti o peggio ancora contradittori, la misura è colma. In questi casi entra in gioco lo sviluppo del territorio, il destino di una comunità che non può essere appannaggio di pochi “intellettuali del territorio”. Prima di procedere occorre informare la popolazione, coglierne le attese, consultarla, renderla partecipe e consapevole. Poi il resto: le leggi, i regolamenti, i progetti, i permessi…. Finora dall’Etna abbiamo avuto molte calamità e distruzioni, oltre alle belle fotografie che accompagnano le sue eruzioni, pochi i benefici, spesso sopraffatti da sacrifici economici. Le poche o molte iniziative hanno avuto sempre una vita travagliata, speso ostacolata da egoismi e miopie. Ben venga l’Unesco con la sua ufficialità, con l’augurio che all’Etna, patrimonio dell’umanità, si accompagni una nuova cultura della nostra montagna, una cultura innovatrice, progressista o per dirla alla maniera delle autorità dolomitiche “ responsabile”, appunto, “responsabile”.
Pubblicata su La Sicilia 05.04.2012. Saro Pafumi

martedì 3 aprile 2012

Perché tanti giovani delinquono

Acquistando La Sicilia come tutte le mattine, mi è capitato per caso, di aprire, di primo acchito, a pagina trentacinque della cronaca. A vedere tutte quelle facce di giovani spacciatori, tali definiti nell’articolo, un brivido mi ha attraversato la schiena accompagnato da un’amara riflessione. Perché tanti giovani? La domanda sembra contenere una buona dose d’ingenuità, perché di riffa o di raffa molti sono i giovani che vivono ai confini o oltre la legalità. L’uomo della strada, chi per definizione è considerato “l’uomo di buon senso” direbbe. “ ma picchì, inveci di spacciari, nun si nni vannu a travagghiari?” Se la risposta fosse così facile, nessuno o pochi delinquerebbero. Invece cosa accade? I genitori latitano o sono inconsapevoli, la morale va a farsi benedire, il lavoro manca, la società è distratta, le esigenze sono incontenibili, ergo aumentano “ i disperati” disposti a tutto. La superiore constatazione non è né una giustificazione, né una consolazione, è, purtroppo, semplice rassegnazione. Dobbiamo abituarci a convivere con questi fenomeni, perché l’uomo è un animale, per di più il meno addomesticato e con più esigenze. L’animale in senso proprio cerca il cibo e una volta sazio si astiene, l’uomo non si accontenta del solo cibo, perché gli impulsi che riceve sono vari e articolati. Una società vera e giusta dovrebbe occuparsi oltreché della salute dei cittadini, anche di queste anomalie, che patologie sono anch’esse, ma non ha mezzi adeguanti o le manca la volontà di risolverli. In tali condizioni il fenomeno è destinato a persistere e forse ad aumentare. E meno male che una buona parte di giovani vive di pensione genitoriale, perché altrimenti la società sarebbe una giungla, anzi per certi versi già lo è. E guarda caso, chi sono i capi branco? Coloro che dovrebbero agire, operare, arginare, programmare, eliminare le cause. Vuoi vedere che questi giovani più che colpevoli sono essi stessi vittime? Di una società ingiusta, distratta, omissiva o in fuga dalle proprie responsabilità. E l’omissione non è anch’esso reato?
Pubblicata su La Sicilia 03.04.2012. Saro Pafumi

domenica 1 aprile 2012

I ricordi dei vecchi sono fari di speranza

La vecchiaia è dell’uomo la stagione delle rimembranze, forse la più dolce delle quattro che l’uomo fortunato riesce a vivere, perché a differenza delle altre, non ha l’ingenuità che caratterizza l’infanzia, la passione che trascina la giovinezza o il disinganno che colora l’età matura. La forza del vecchio è la sua memoria, talvolta ossessivamente ripetitiva di fatti accaduti o vissuti, un veicolo che sposta all’indietro le lancette dell’orologio, nella vana, quanto dolce illusione di rivivere il passato, come ancora di vita. Nell’anziano il piacere di ricordare è l’attività primaria del suo vivere Un’operazione di archeologia mnemonica, attraverso la quale i ricordi, piacevolmente sollecitati, riportano alla luce, come negli scavi veri, frammenti di episodi, segmenti di vita: caratteri di personaggi dimenticati, mestieri scomparsi, fatti accaduti. Uno scavo che consente di rimuovere le scorie del tempo. La memoria dell’anziano, come la paletta che tiene in mano l’archeologo. scava, spolvera, scrosta, modella, ritrae e comunica ciò che essa riesce a fare emergere: un mestiere scomparso, un modo di vivere, un nomignolo, un episodio di vita sono, talvolta, le tracce di resti sepolti, brandelli di memorie che, riesumati poco alla volta, finiscono col comporre un mosaico che diventa presente. Nell’età adulta l’uomo si trasforma in archeologo di ricordi, perché rimembrando, rivive un passato sepolto ma non morto, E’ un viaggio a ritroso che la mente piacevolmente percorre, alla ricerca di un sussulto, di una voce familiare, di un segnale, di un’emozione che regalano l’eco di passate stagioni, carichi di dolcezza, eppure unici. Ogni vecchio in salute ha il suo universo stellato di ricordi che tenta di cogliere come stelle cadenti che rigano il cielo della mente. I ricordi sono i fari dell’anima che aiutano a illuminare la vecchiaia del colore della speranza, guai a ucciderli.
Pubblicata su La Sicilia il 02.04.2012. Saro Pafumi