Il villaggio Mareneve, per l’amaro destino che lo perseguita, dovrebbe chiamarsi più verosimilmente “Villaggiu Malasorti”.
Realizzato con superficialità ed approssimazione a partire dal 1958 su 25.000 mq del demanio comunale di Linguaglossa dietro un’indennità d’esproprio di appena 600 mila lire ( delibera n.75 del 14.06.1958) divenne proprietà della Regione Sicilia che lo affidò, con un canone assolutamente simbolico ad una società palermitana ( la SAT)che non ebbe nessun interesse a gestirlo, tant’è che lo concesse in sub-concessione a privati, ricavandone un reddito parassitario; in secondo luogo perchè il complesso, privo fin dalla nascita d’acqua e luce, era carente dei più elementari servizi; in terzo luogo per la presenza di boungalov decentrati rispetto al corpo principale difficili da gestire.
Il villaggio, dopo un breve periodo di relativo splendore, cadde nell’oblio; attraversò la fase del depauperamento delle poche strutture rimaste in piedi ( una sorte comune a tutte le strutture abbandonate) ed infine subì la devastazione di un incendio.
La Regione, che di un complesso ridotto in macerie non aveva interesse a conservarne la proprietà, pensò bene di cederlo alla Provincia regionale di Catania che, in un sussulto di rara dignità, tentò il recupero della struttura., impiegando una somma considerevole per la sua rinascita. Ma poteva la “malasorte” di cui è impregnato il Villaggio premiare un ‘iniziativa del genere, smentendo quello che accade giornalmente in Italia dove un’opera iniziata quasi mai raggiunge il completamento? Il villaggio, com’è ovvio, non si sottrasse a questo destino.
Oggi langue, lì, tra pietosi, alti pini larici che sembrano nasconderlo alla vergogna del turista e all’incuria delle Autorità, dove di tanto in tanto avide mani strappano brandelli della sua struttura come fossero reliquie da conservare.
I turisti lo guardano con disgustosa attenzione, i linguaglossesi con pietosa rassegnata nostalgia, gli amministratori con disinteresse, avendo ben altro cui pensare ( la ricostruzione di Piano Provenzana), i rari visitatori che s’introducono al suo interno n’escono nauseati, non senza aver depositato qualche “rifiuto corporeo” come augurio di buona fortuna o perché consapevoli che un ricovero dove potere soddisfare al coperto sull’Etna i propri bisogni è
un’impresa.
Che fare dopo un quarto di secolo di desolante abbandono e nessuna prospettiva futura?
Demolire la struttura principale, rimuovere quello che rimane del “ fu Villaggio”e in un sussulto di dignitosa arresa bonificare il terreno sito nel cuore del Parco dell’attuale inquinamento e restituirlo al Comune che n’è stato spogliato. Una diversa soluzione ci sarebbe. Appellarsi al quarto comma dell’art 3 della citata delibera comunale dove si legge: “Se il terreno espropriato non venga adibito allo scopo di cui sopra o dovesse un giorno cessare lo scopo per cui esso viene espropriato, esso terreno dovrà ritornare di proprietà del Comune”, forse con un destino ancor peggiore dell’attuale Una risposta, però, l’attendono i sedici amministratori del tempo che firmarono la delibera, i cui corpi si rivoltano nella tomba, il turismo in generale e i linguaglossesi che della pineta sono proprietari e vittime.
Ma per far ciò occorrono amministratori che abbiano gli “attribuiti” necessari: un genere a Pubblicata su La Sicilia il 17.03.2011.
Saro Pafumi
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