sabato 25 maggio 2024

Le voci sepolte

 

Le voci sepolte.

Siamo abituati ad ascoltare le voci che ci provengono dalla natura, da quella umana, con le sue personali tonalità, al cinguettio degli uccelli, al verso degli animali tutti che popolano la terra, per finire allo stormire delle foglie, mosse dal vento, che anch’esso voce ha, come quando striscia sulle rocce, sibila tra i fili o scricchiola tra le fessure di porte e finestre o emette il sordo rombo delle increspate onde del mare o cigola tra i rami degli ondeggianti alberi. Eppure in natura ci sono un’infinità di altre voci sepolte di essere minuscoli, che l’orecchio umano non percepisce. Si pensi alle formiche, capaci di emettere suoni attraverso la stridurazione dell'addome e mandibole. Quasi tutti gli insetti emettono suoni e forse anche l’intero mondo vegetale: gli alberi, i fiori, le foglie, ogni minuscolo filo d’erba con i loro inconfondibili profumi, che voci sono. Se fossero percepibili, il mondo sarebbe un tripudio di suoni, la colonna sonora dell’umanità, la banda dell’universo Peccato che a questa armoniosa orchestra l’orecchio umano non può accedere in tutta la sua fantastica varietà. Resta il gusto di assaporarne una minima parte, quanto basta per ritenerci fortunati di far parte di quest’orchestra.

mercoledì 22 maggio 2024

Da homo erectus a uomo ca testa " a puzzuni".

 

Da homo erectus a uomo ca testa ‘a puzzuni’.

Ne ha percorsa strada l’uomo nella sua evoluzione storica. Da homo erectus, si è passati in epoca molto recente a uomo ca testa ‘a puzzuni’.Per molti questo modo di dire siciliano può non significare nulla,invece indica qualcuno che sta a testa in giù, causato dal malvezzo diffusissimo,in ogni dove, di guardare il cellulare che teniamo in  mano. Un passo indietro dell’uomo moderno da homo erectus, a testa  ‘a puzzuni’, un atteggiamento nell’’evoluzione della specie umana. che  denota dipendenza da qualcuno o qualcosa: dall’alcol, alla droga, al cellulare, appunto. E’ difficile uscire da questa dipendenza che si acquisisce già da bambini,nell’indifferenza degli adulti, che con il loro  modo di rappresentarsi ca testa a puzzuni sono di esempio a figli e nipoti. Quest’innaturale comportamento presenta una conseguenza ancora più negativa: l’abitudine a isolarsi, rifugiandosi in un mondo apparentemente globale, ma lontano dai veri rapporti sociali, fatti di legami, amicizia, simpatia, stima, amore,  che rappresentano i mattoni  fondamentali  di cui è costituita la vita. Col cellulare in mano e a testa a puzzuni siamo relitti che navigano in una palude dove mancano la creatività, la diversità e  la  fantasia imbrigliate nel putrido acquitrino di parole morte. Pubblicata oggi 22.05.2024 su La Sicilia

 

martedì 21 maggio 2024

Pentecoste

 

 

Pentecoste  19.05.2024 

Poesia

 

Di gialla crassula

che, negletta,

s’arrocca sui muri

o s’accovaccia

su coppi terrosi

ho fatto croce di cera

sull’uscio di casa.

Al balcone,

tra corone di luci,

coperta di trine con fili d’oro

ho appeso,

che di mia madre

fu talamo d’amore

Tra petali di rose

galleggianti

in acqua di fonte,

nuda,

la mia anima ti attende

perché ogni giorno

sia pentecoste.

Saro pafumi

lunedì 20 maggio 2024

Targa ricordo in memoria del Preside concittadino G. Barletta

 

Targa ricordo in  memoria del Preside concittadino Girolamo Barletta.

La dipartita del Preside, amico e concittadino Girolamo Barletta impone l’obbligo morale di ricordarlo alle future generazioni per l’esempio di vita trasmesso con la sua cultura e preparazione, anche nella formazione dei giovani, che assieme alla politica, vissuta con passione, sono stati i due poli che hanno caratterizzato il suo stile di vita. Nel presente si può fare poco per ricordarlo alle future generazioni, perché la legge impone criteri e tempi da osservare. Nell’immediato sarebbe utile e doveroso dedicargli una targa/ricordo nella sua casa Natale. Da ricerche effettuate pare sia stata individuata la dimora che Gli diede i natali, ma occorre una ricerca più meticolosa per esserne certi. Cosa che sta avvenendo. Non appena le ricerche saranno concluse, procederemo alla collocazione della targa/ricordo. e di ciò daremo notizia a quanti hanno a cuore la memoria del nostro concittadino. Ai posteri il resto, perché il personaggio in questione merita ben più concreti riconoscimenti, che col tempo, sono sicuro, non tarderanno a essergli riconosciuti.

domenica 19 maggio 2024

L'odore della pioggia

 

L’odore della pioggia.

Tutti amiamo il profumo dei fiori, delizia dei nostri sensi. Chi può rimanere insensibile al profumo del gelsomino, della gardenia, della magnolia, del garofano…. C’è, però, un altro profumo, figlio dell’oblio, ricco di significati: quello della ridente pioggia, che si percepisce dopo un acquazzone estivo, che la terra feconda e l’uomo, stupito, ascolta. Un profumo ricco di aromi, che proviene da tutti gli angoli della natura: dal sudore della terra, che si tramuta, per incanto, in una lieve nube sprigionata dal suolo, dal fieno appena mietuto, dai cespugli umidi di pioggia, dal respiro delle piante che distillano gocce di ristoro, dal bacio d’amore dei fiori, appena ritemprati da sorsi di sole. Un tripudio di profumi, ma anche una dolce melodia, che la pioggia regala all’arso suolo, che, allegro, frizza. C’è in questo misterioso profumo, intriso di lieve canto, la magia di una tristezza remota. Un ritorno recondito, inspiegabile, quasi antico, all’origine della vita. Non si spiega, infatti, perché questo profumo, apparentemente insignificante, coinvolga spirito e sensi e spalanca le porte del cuore, per liberare l’uomo dalla placenta che lo avvolge per invitarlo, assieme alla ristoratrice pioggia, a una festosa danza con la natura, che per lui fu culla.

Nel trigesimo della dipartita del Preside Girolamo Barletta.

 

Nel trigesimo della dipartita del Preside Girolamo Barletta.

Quando ci lascia un Grande, e Girolamo Barletta lo fu in molti campi, dalla cultura, all’insegnamento, alla politica e non ultimo al suo stile di vita, la commozione è generale e sincera. Nel momento della commemorazione, mi è sembrato opportuno, mantenere un profilo riservato, perché nulla avrebbe aggiunto la mia modesta presenza a fronte di un tripudio di stima e affetto prodigati da chi aveva titolo dall’alto della sua autorità. Ora che si sono abbassate le luci della ribalta e ricorre il trigesimo, non devo spartirlo con gli altri, e mi è doveroso ricordarlo per l’affetto che ci legava, per la stima prodigatami e per gli insegnamenti ricevuti. Non sta a me tessere le lodi che merita, tanti l’hanno fatto con dovizia di particolari. A me piace ricordarlo per la sua calda, armoniosa oratoria, che ha segnato la sua intensa, coerente vita politica, ma principalmente per la sua onestà intellettuale e morale. A tal proposito mi viene in mente una confidenza fattami in uno dei nostri tanti colloqui, quando presentatosi alle elezioni, chiese agli organi del partito un contributo elettorale. La risposta fu stupefacente. “ Ti abbiamo dato la carica di presidente dell’Ospedale Santo Bambino, che vuoi di più?”. Era un invito sottinteso a sfruttare la sua carica per finanziarsi da sé la campagna elettorale, attingendo risorse economiche dall’Ospedale, per fini propri. Barletta ne rimase sconcertato. Con le sole, proprie forze economiche riuscì a malapena a far stampare qualche migliaio di volanti pubblicitari, recanti il suo nome: niente di fronte alla massiccia campagna propagandistica dei suoi concorrenti. Barletta non se ne dolse. A Lui bastò sventolare in alto il vessillo della sua indiscussa onestà, che lo guidò per tutta la vita, in ogni campo del suo poliedrico agire. Questo era Barletta, un gigante, che nella mitologia classica, tanto cara a lui, era figlio del Cielo e della Terra. Non è un caso che sia nato ai piedi dell’Etna, che ha trasfuso in lui il fuoco della cristiana sapienza. Grazie Mimmo, come volevi che ti chiamassi, non solo perché sei stato mio maestro di lezioni private, ma di vita. Lo devo a te, senza nulla togliere ad altri che mi hanno formato (Barilaro, Pintacuda, Papandrea, Calì) se riesco, a malapena, a mettere in fila quattro parole in italiano, tante quanto mi bastano per dirti grazie e augurarmi che il tuo paese d’origine ti riservi il giusto riconoscimento. .

mercoledì 15 maggio 2024

L'autolesionismo di noi meridionali.

 

L’autolesionismo di noi meridionali

Si fa fatica a comprendere le cause che producono l’autolesionismo di noi meridionali. Una condizione di auto sabotaggio e auto lesiva, forse determinata dall’esigenza di mantenere la condizione di vittime che noi meridionali andiamo sbandierando ai quattro venti fin dalla nascita. Un dolore quindi, che tramutiamo in soddisfazione, negando valore a tutto ciò che contraddice questo nostro innato autolesionismo. La costruzione del ponte sullo stretto ci offre la condizione ideale per affermare la nostra innata condizione di perenni vittime. Una patologia che affligge persone di ogni ceto sociale e culturale. Non esiste alcuna controindicazione alla fattibilità di questa struttura, frutto di costosi anni di ricerche,eppure ciò che può sembrare ovvio, si traduce in dubbio o negazione. Preferiamo annebbiare la nostra razionalità, pur di negare la positività di un’iniziativa, che quand’anche fosse inutile, dovrebbe essere ritenuta salutare, se non altro perché, una volta tanto, la nostra atavica, reale  condizione d’insularità, si congiunge al resto del mondo, che sentiamo ostile da secoli. Ben verga quindi quest’opera “inutile”.Una volta tanto, lo sperpero di denaro pubblico, che avrà sottratto risorse al tanto odiato Nord, consideriamolo con gioia malevola. Pubblicata oggi  15.05.2024 su La Sicilia.

lunedì 13 maggio 2024

Amore malato

 

Amore malato

“Cosa vorresti essere nella vita?” mi chiese Gabriele, con quel suo modo di porre le domande che non facevano distinguere se parlasse seriamente o per celia. Prima di rispondergli lo fissai negli occhi, l’unico modo per capire Gabriele. C’eravamo conosciuti, per caso, ironicamente punzecchiandoci” sull’amore coniugale”, un tema sul quale avevamo visioni diverse. Quando ami l’ironia e t’imbatti in un tizio parimente ironico è di solito amore a prima vista. Com’era naturale che avvenisse tra me e Gabriele. “ Ti ribalto la domanda” risposi. “ Ti dirò cosa ‘non’ vorrei essere”. “Sentiamo!” intervenne Gabriele, un po’ spiazzato dal rovesciamento della domanda fattami. Capitava speso tra me e Gabriele porci delle domande, che scivolavano sempre sul piano metaforico, dove l’ironia è come il prezzemolo sulle vivande. “ Vorrei non essere l’edera, semplicemente non essere l’edera”, precisai, badando a ripetere e scandire le ultime parole. “M’incuriosisce” intervenne Gabriele” del resto sapere quel che non si vuole essere, restringe il campo per capire quel che si vuole essere”. Queste discussioni Gabriele ed io le facevamo passeggiando, perciò amavamo definirci ‘i due pazzi patetici’, ironicamente mutuandolo e storpiandolo dall’aristotelico ”peripatetico”. Ci accomunava anche l’ammirazione per Aristotele, che definivamo il principe della logica, la cartina di tornasole di ogni ragionamento.  Tant’è che ogni nostro discorso finiva con il porci sempre lo stesso interrogativo: “ Ha una logica?" . Camminando per le vie del paese ci spingemmo più oltre, dove io avevo intenzione di condurre il mio amico, giacché là si trovava la chiave per capire cosa io “non volessi essere”.

L’albero era imponente e ciò che lo avvolgeva aveva l’aspetto di un mostro.

.Un alto albero di quercia interamente ricoperto di rami d’edera, quasi a soffocarlo. “ Ecco, vedi ” dissi,”non vorrei essere quell’edera. Un albero maestoso,imponente ,utile, secolare strangolato da una misera pianta.”Quante volte hai sentito parlare dell’edera come simbolo d’amore, di fedeltà. Sono state scritte migliaia di cose sull’edera e anche canzoni, e la mitologia è ricca di citazioni su questa pianta, ma forse non sai che essa è collegata a una disgrazia. “Secondo l’antica leggenda un giovane di nome Cisso, il quale si esibiva nelle feste in onore di Bacco con salti e acrobazie spericolate, ebbe un giorno un grave incidente. Il divino Bacco, che si era affezionato al giovane, per impedirne la morte lo trasformò in una pianta, l’edera, capace di arrampicarsi su qualsiasi superficie”. Non sai anche che le sue bacche sono molto irritanti e che dai suoi rami si sviluppano radici,capaci di ancorarsi al supporto che la sostiene fino a soffocarlo senza pietà,anche quando l’albero muore,Non ama il sole, si fa chiamare Elix che significa prendere, aggrapparsi, striscia un’intera vita o rimane abbarbicata per secoli, senza nulla dare ma solo ricevere Io non vorrei essere edera. Che vita sarebbe la mia se rimanessi orfano dell’amore al quale mi sono aggrappato;se il mio aggrapparsi all’amore è sua morte?” Gabriele tacque a lungo prima di rispondermi,come soleva fare per cercare la risposta più forbita.”E se cercassimo di liberare l’albero dall’edera?”mi rispose.”Lo possiamo fare con le piante”, gli risposi, ma tra persone,l’impresa è più ardua. Se avvertiamo che il nostro modo di relazionarci con qualcuno, se il nostro modo di amare è sbagliato, dobbiamo avere la forza di rinunziare all’idea di essere così testardi da potere cambiare la persona che amiamo. Dobbiamo rinunziarci. Solo così possiamo evitare le tante tragedie che si maturano in ambito familiare. Gabriele questa volta tacque a lungo. Aveva capito che la metafora era rivolta a lui ,alla sua situazione familiare al suo amore malato verso la sua donna. Il ritorno fu pieno di silenzi e anche di tristezza Nessuno aveva voglia di parlare,né di spiegare. Quando giungemmo sotto casa sua, Gabriele mi strinse la mano e guardandomi negli occhi mi disse : “ Aristotele sarebbe stato contento del ragionamento che hai fatto. Per lui la logica non è una scienza , ma uno strumento per capire,Tu pensi come un uomo saggio, ma come dice Eschilo “‘la saggezza è un punto di vista sulle cose” Se cambi angolatura le cose cambiano”. Gabriele ancora una volta non smentiva se stesso. Voleva rimanere enigmatico, come suo solito. Amava il dubbio. Del resto tutta la sua vita, io, che lo conoscevo bene, sapevo che altro non era stata che una mancata scelta tra errori e incertezze. Mi confortava l’idea di avere seminato nel suo cuore e la logica, che tanto amavamo Gabriele ed io,m’era di supporto .Sperai.

 

domenica 12 maggio 2024

La processionaria imperversa sull'Etna

 

La processionaria imperversa sull’Etna.

La processionaria nella nostra pineta è stata sempre di casa. Fino a non molto tempo fa si procedeva a regolari disinfestazioni, poi alcune norme ne hanno impedito l’uso, talché oggi è molto diffusa. In primavera il fenomeno è molto visibile e presente nel terreno, il che la rende pericolosa all’uomo, poiché le larve a causa dei loro peli urticanti, se in contatto con la pelle, possono causare irritazioni e reazioni allergiche e persino problemi respiratori. Il problema potrebbe incidere sul turismo, se a conoscenza dei tanti che amano visitate la pineta in primavera, quando il fenomeno è più grave e visibile. Il primo problema da affrontare è se informare i turisti, con le possibili ricadute sull’affluenza, ma sarebbe più giudizioso che le Autorità comunali e forestali affrontassero preventivamente il problema, che, in difetto di qualsiasi utile intervento, potrebbe avere conseguenze deleterie sul turismo. Le predette Autorità sono consapevoli del fenomeno? A quanto pare, sembrerebbe di no, perché non si vedono interventi sul settore, che, invece, merita attenzione e soluzioni. Pubblicata oggi 12.05.2024 su La Sicilia

mercoledì 1 maggio 2024

Non tutti sanno che........

 

Non tutti sanno che………

Non tutti sanno che al nostro esimio concittadino Prof. Salvatore Castorina è stato conferito, di recente, un importante riconoscimento: la targa della tessera e del distintivo a vita dalla sede centrale del Lions Club International Stati Uniti, su proposta del Lions Club di Taormina. Ho avuto modo di visionare l’originale del riconoscimento, riportato in forma sintetica dal quotidiano La Sicilia del 30 u.s. dove si legge la motivazione: “Uomo di grande umanità e cultura che ha dedicato parte della sua vita ad azioni filantropiche e umanitarie, che sono oggi un vero orgoglio per il lionismo internazionale” Nell’articolo si fa cenno anche al Campus della Comunità di Capodarco, con sede in Linguaglossa, costruito con finanziamento lions, che nel periodo estivo ospita numeroso giovani disabili, provenienti da tutto il mondo. La vita e l’azione del nostro concittadino Prof. Castorina, mi richiama alla mente un altro grande personaggio della medicina, Giuseppe Moscati, detto “il medico dei poveri”, il cui corpo riposa nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. Chissà se un giorno anche per lui, si compirà il percorso evangelico del Moscati. L’accostamento non è casuale, ove al termine povertà non si attribuisca il significato letterale del tempo in cui visse il Moscati, ma la condizione di chi oggi soffre e non ha una risposta dallo Stato, spesso soddisfatta da Cliniche private, la Morgagni, in primo luogo, fondata dal nostro concittadino, che si aggiunge, come fiore all’occhiello, alle tante, altre sue iniziative nel campo medico e umanitario.

 

Non tutti gli amori fioriscono in primavera

 

Non tutti gli amori fioriscono in primavera.

“ Tho! Guarda chi ci viene incontro, lei: una bella donna, impegnata nel sociale. Se vuoi, te le presento” disse Mario

 “Non è il caso, in mezzo a tanta folla” rispose Dario, che, scostandosi da Mario, fece finta di guardare dentro una vetrina, per evitare l’imbarazzo di quell’incontro inaspettato.

Non ebbe il tempo di formulare la risposta, quand’ecco che lei lo urtò con la spalla, per evitare d’inciampare con chi le stava davanti, in quella mattina di tarda primavera, in cui molta gente affollava la città.

Nessuno chiese scusa per quell’atto involontario, come se entrambi non avessero colpa di quello scontro. Uno scontro assai fugace, che nella mente di Dario lasciò qualcosa d’incompiuto, quasi un presagio di ciò che sarebbe accaduto.

Lei, Rita, così si chiamava, era impegnata nel sociale e Dario frequentava spesso quell’ambiente, dove praticava il volontariato. Prima  o poi doveva accadere che s’incontrassero e quando avvenne, Dario si ricordò subito di quello ‘scontro’avvenuto in quella lontana mattina di primavera.

Ora lei gli stava davanti, in tutta la sua avvenenza, rimanendone folgorato. Il suo aspetto fisico possedeva un non so che di mistico, che esaltava la sua bellezza, soave e leggera, quasi evanescente, come un giorno di primavera, che per la sua natura poetica, aiuta a formulare emozioni e sensazioni profonde. La stessa sensazione che si attiva, quando si ammira un campo di ciliegi in fiore, che odorano di primavera. Le sue mani bianche, come il latte, quando si muovevano par accarezzassero l’aria. La sua voce calma, suadente, ma incerta,  accompagnava il suo sguardo, che si perdeva nel vuoto.

Gli incontri col tempo diventarono numerosi, sempre più forieri di sensazioni forti per entrambi, trattenute dalle condizioni personali: lui coniugato con prole, lei casta, per virtù. Una scelta forte, che presuppone la convinta rinuncia a donarsi, in vista di beni ritenuti superiori: etici, religiosi o per accadimenti naturali o esperienze di vita Con la crescente intimità, lei fini di ammettere che quella scelta era nata da una cocente delusione d’amore e con quella scelta libera aveva trovato rifugio, per fuggire alle umane passioni. Una scelta che Dario considerava stantia, banale, sprecata, dato il suo irresistibile fascino, ripiegato tra le piaghe del destino.

Tra un incontro e l’altro, era inevitabile che quelle due vite, racchiuse in gabbie separate, fossero destinate a intrecciarsi, senza un perché, finché un giorno le vincenti forze della natura sbocciarono in un bacio. Lei non si ritrasse, ma non assecondò l’amoroso gesto. Lasciò che le sue labbra rimanessero serrate e il suo viso si girasse dall’altra parte, sospinto da quello sfuggente bacio. Solo i loro occhi parlavano, lanciando vicendevoli sguardi, pungenti come aghi di pino, da cui par trasudassero repressi desideri di due martoriate anime. Per Dario il bacio su quelle labbra inafferrabili, non accettato, ma nemmeno respinto aveva il sapore del miele. Gli occhi di quella donna che gli stava davanti, sembravano a Dario fiocchi di gioia che si adagiavano dolcemente sulla sua anima, mentre a lei quel bacio inaspettato parve una carezza di Dio. Nessun dei due osava aprirsi, imprigionati, com’erano, in storie diverse. Quell’amore, non cercato, era solo un seme sepolto nel mondo oscuro delle intenzioni, che mai si sarebbe tramutato in fiore, simbolo di una primavera amorosa. La prole e la castità, che contrassegnavano le loro vite, erano valori irrinunciabili. Rimaneva solo quel bacio, una bianca rosa, in un giardino di spine, un suggello d’amore impossibile. Nato per caso, perché poteva accadere, perché doveva accadere, perché è accaduto. Come le tante cose che accadono senza un perché.

 

 

 

 

Noi e l'alheimer

 

Noi e l’alzheimer.

L’alzheimer, una patologia che blocca la mente e rende irriconoscibile tutto ciò che la circonda, non è una malattia alla quale è facile assuefarsi. Quando una persona cara muore, col tempo subentra la rassegnazione, ma se la stessa è affetta dall’’alzheimer la reazione è diversa, si direbbe più triste e dolorosa. E’ difficile accettare la barriera che ci divide dalla persona amata, muta nella mente, che sta a guardarci, come se una vita trascorsa insieme fosse un sorso d’aria svanito nel petto. Tra noi e la persona cara, la vita ha posto una siepe di filo spinato, contro cui la nostra anima, nel vano tentativo di riportare alla luce quel grumo di ricordi succhiati dal buco nero del nulla, s’imbriglia, sanguinando gocce di dolore. L’alzheimer, anticamera della morte, rinchiude la persona affetta in un virtuale campo di concentramento, dove a germogliare, non è più un’anima, ma il fiore del dolore. Una visione immaginaria, magistralmente descritta nell’’opera pittorica di E Munch, dove si vede una donna in uno stato di profonda tristezza, con attorno tanti fiori appassiti, simbolo delle persone care che le stanno a fianco e vivono la sua stessa sofferenza. Un dolore che non ha mai fine e veste forme diverse. Tra tanto soffrire ci piace immaginare chi è affetto da alzheimer come un fiore col capo chino, che al tramonto della vita si appresta a volare tra le fuggenti nuvole, alla ricerca di un luogo dove attecchire e rifiorire, se ciò può servire a lenire anche le pene di chi resta. Pubblicata oggi 01.05.2024 su La Sicilia