Quando a Linguaglossa le colline erano in fiore.
Il titolo di un a vecchia canzone recitava “Le colline sono in fiore”.Oggi se osserviamo le colline, un tempo verdeggianti, che incorniciano Linguaglossa come perla incastonata in una conchiglia, di esse resta solo l’ amaro, secco stupore . Una stretta al cuore quelle diffuse chiazze brulle, che dell’alopecia han le forme. Ampie zone incolte, senza colori, qualità e forme, che il seccume ha reso sterili, senza compassione e pietà alcune. Il contadino, stanco di lavorare, ha preferito cercare altrove la sua ragione, lasciando ivi sepolta la sua anima, sotto una coltre di dolore. Un tempo quelle che sono oggi macchie brulle erano verdeggianti viti o dorati ricami di ondeggianti spighe: vino e pane, che il lavoro rendeva dolci come il miele. Era allora il tempo in cui si lavorava per la felicità di vivere e non, come oggi, per l’infelicità d’avere. Oggi a posto dell’ultimo vitigno o spiga “ la mugghiante greggia e la belante c’è lassù su quelle cime”’dove la vite e il grano hanno lasciato il posto allo sterco, che si mescola all’acre, pungente odore del selvatico finocchio o del bianco-rosato aspro, pungente origano, vero “splendore di montagna” (oros ganos) qual è chiamato dai nostri greci padri. Eppure, lassù, un giorno il contadino dovrà tornare, per disseppellire la sua anima, se vorrà campare. Possano quelle secche colline ritornare in fiore perché noi che qui abitiam,come recita la vecchia canzone, “ stiam morendo di dolore”.
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