sabato 3 agosto 2024

Anche le campane hanno un nome

 

Anche le campane hanno un nome.

A volte il progresso, snatura il nostro modo d’essere, perché ci ruba qualcosa che sta scolpito dentro di noi. Chi ha avuto la ventura di nascere in un piccolo paese, Linguaglossa, vive di ricordi, di tradizioni, di colori, di personaggi, di suoni.

Tra questi suoni, i rintocchi degli orologi campanari che segnavano i quarti e le ore. Al primo rintocco conoscevi già il campanile dal quale proveniva, perché ogni campana aveva la sua "voce", differente, inconfondibile: grave, “la” bemolle, quella delle ore della Matrice, squillante, “si" bemolle quella dell’Annunziata.

Mai che questi orologi campanari segnassero le ore con sincronia, perché, anche se chi sovrintendeva alla loro regolazione era lo stesso, don Saro, detto “fatittedda”, estroverso e tutto pepe, alto quanto “u battagghiu di ‘na campana”, diversi erano i momenti e i suoni delle campane, come se fossero sincronizzati sui caratteri dei sacrestani che avevano a cura le chiese: taciturno il primo, don Salvatore, detto “ turi nascazza” (impressionante la sua somiglianza all’attore Paolo Stoppa), metodico il secondo, detto “machinetta o barbarozzu”.

Sentivi già al mattino che il paese era sotto una coltre di neve, se, al risveglio, la prima campana che segnava i quarti aveva la voce soffocata dalla neve che la ricopriva.

Tiravi su la coperta, come se quel suono smorzato di campana ammantata di bianco ti trasmettesse il freddo dell’esterno e seguitavi a dormire, immaginando paesaggi innevati e smarriti pettirossi a beccare nei “mignani” tra rami rinsecchiti di basilico.

Oggi un altoparlante azionato da disco diffonde nell’aria melodie sempre uguali e i campanili, perduta la loro dignità, non diffondono differenti rintocchi, come se, rese mute le campane, ai campanari avessero strappato le corde vocali.

Quando il progresso ti ruba la tradizione è come se qualcuno, usandoti violenza, ti costringesse a camminare nudo per strada. Un’anima spogliata dei suoi ricordi è, infatti, come una lampada fulminata, inservibile.

Tratto da “Linguagrossa civitas dilecta integra vol I” di Saro Pafumi

 

 

 

 

 

 

 

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