Anche le campane hanno un nome.
A volte il progresso, snatura il nostro modo
d’essere, perché ci ruba qualcosa che sta scolpito dentro di noi. Chi ha avuto
la ventura di nascere in un piccolo paese, Linguaglossa, vive di ricordi, di
tradizioni, di colori, di personaggi, di suoni.
Tra questi suoni, i rintocchi degli orologi
campanari che segnavano i quarti e le ore. Al primo rintocco conoscevi già il
campanile dal quale proveniva, perché ogni campana aveva la sua
"voce", differente, inconfondibile: grave, “la” bemolle, quella delle
ore della Matrice, squillante, “si" bemolle quella dell’Annunziata.
Mai che questi orologi campanari segnassero le ore
con sincronia, perché, anche se chi sovrintendeva alla loro regolazione era lo
stesso, don Saro, detto “fatittedda”, estroverso e tutto pepe, alto quanto “u
battagghiu di ‘na campana”, diversi erano i momenti e i suoni delle campane,
come se fossero sincronizzati sui caratteri dei sacrestani che avevano a cura
le chiese: taciturno il primo, don Salvatore, detto “ turi nascazza”
(impressionante la sua somiglianza all’attore Paolo Stoppa), metodico il
secondo, detto “machinetta o barbarozzu”.
Sentivi già al mattino che il paese era sotto una
coltre di neve, se, al risveglio, la prima campana che segnava i quarti aveva
la voce soffocata dalla neve che la ricopriva.
Tiravi su la coperta, come se quel suono smorzato
di campana ammantata di bianco ti trasmettesse il freddo dell’esterno e
seguitavi a dormire, immaginando paesaggi innevati e smarriti pettirossi a
beccare nei “mignani” tra rami rinsecchiti di basilico.
Oggi un altoparlante azionato da disco diffonde
nell’aria melodie sempre uguali e i campanili, perduta la loro dignità, non
diffondono differenti rintocchi, come se, rese mute le campane, ai campanari
avessero strappato le corde vocali.
Quando il progresso ti ruba la tradizione è come
se qualcuno, usandoti violenza, ti costringesse a camminare nudo per strada.
Un’anima spogliata dei suoi ricordi è, infatti, come una lampada fulminata,
inservibile.
Tratto da
“Linguagrossa civitas dilecta integra vol I” di Saro Pafumi
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