giovedì 15 agosto 2024

Libertà di stampa o stampa liberà?

 

Libertà di stampa o stampa libera?

Spesso ricorre il solito ritornello: in Italia è in pericolo la libertà di stampa. L’affermazione è mal posta. In Italia ciò che manca non è la libertà di stampa, ma una stampa libera da ideologie. Basta fare l’elenco dei quotidiani italiani e subito emerge lo schieramento politico di appartenenza. Qualsiasi notizia riguardante la politica è accompagnata da una serie di premesse, considerazioni, riflessioni e conclusioni, secondo l’ideologia di appartenenza,cosicché ‘la notizia’, quasi un’arringa, perde i caratteri dell’obiettività, per trasformarsi in propaganda di parte. La stessa tecnica è usata dai media, distribuiti tra destra e sinistra, secondo il canale scelto. Il giornalismo attuale ha scoperto ‘i colori e li usa a seconda la propria convinzione ideologica. La notizia ‘bianca’, quella priva d’infingimenti, non esiste. Il tentativo di dipingere il giornalista libero di pensare è un’ipocrisia travestita da utopia. Tale libertà si coglie, semmai, quando si tratta di diffondere dati meteorologici o semplici notizie di cronaca, purché lontani dalla politica. In tutti gli altri campi il libero pensiero è come il libero arbitrio che Martin Lutero nega, perché tutti siamo soggetti al destino o alla nostra percezione di parte, talvolta prezzolata. Saro Pafumi Pubblicata oggi 15.08.202424 su La Sicilia. 

giovedì 8 agosto 2024

Il sapore del tempo

 

Il sapore del tempo.

La vecchia, per chi la raggiunge, porta con sè un grande insegnamento: il tempo è oro. Ciò si comprende quando il tempo che rimane da vivere si restringe. E’ il momento in cui il tempo si consuma a sorsi, guardando nel calice della vita ciò che di esso rimane. Lo spreco temporale assai diffuso nel periodo giovanile è un rimpianto che ci portiamo dentro, ora che il suo scorrere si calcola in giorni,ore e minuti, scanditi dal sorgere del sole. Il tempo non è il ticchettio scandito dall’orologio, lo scorrere delle pagine di un diario, il racconto di una storia, lo scroscio di un rubinetto lasciato aperto. Il tempo è un’entità sconosciuta determinata dalla cronologia delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti, anche se in sostanza “ è la più sconosciuta di tutte le cose sconosciute” (Aristotele). Si direbbe che il tempo è come un direttore d’orchestra che scandisce il tempo agli orchestrali che nella vita quotidiana siamo noi umani. La vecchia può definirsi l’ultimo miglio che ci tocca di vivere, prima di raggiungere l’infinito, in cui il nostro destino, un tempo sconosciuto, si è finalmente, nel bene e nel male disvelato. Ci rimane solo di percorrere gli ultimi metri, non con lo spirito sportivo dei ‘cento’, in cui ci si affanna a percorrerli a tempo  di record, ma con un ritrovato spirito: a passo di lumaca. Un’aspirazione che ci portiamo dentro, che si comprende, quando il ticchettio dell’orologio sta per cessare. Pubblicata oggi 08.08.2024

martedì 6 agosto 2024

Linguaglossa,il mio paese

 

Linguaglossa, il mio paese. 

Chissà quante volte un tema con questo titolo è stato assegnato agli alunni delle scuole elementari. M’immagino, bambino, seduto sul banchetto a spremermi le meningi in cerca di qualche idea. Ora che il banchetto delle elementari l’ho lasciato da un pezzo, voglio riprovarci a svolgere un tema del genere, possibilmente con lo stesso stile di un bambino, ma col disincanto di un adulto.

Il proprio paese è il territorio in cui si vive ed insieme la moltitudine di persone che ci abita. Soffermiamoci a ragionare su quest’ultime, perché il territorio, è fuor di dubbio, si ama, se non altro perché si è nati. Le persone: diverse e strane, cordiali e sospettose, individualiste, ma socievoli, aperte alle innovazioni e insieme conservatrici, lavoratrici, ma con moderazione. Ospitali. Criticone e pettegole come in tutti i paesi. L’iniziativa altrui è guardata con sospetto, valutata con attenzione, oggetto di dispute e dibattiti, ma prontamente imitata in caso di successo. La caratteristica del linguaglossese è usare gli altri come apripista, il cui operato può avere solo due sbocchi: “Lo dicevo io che l’iniziativa non poteva avere                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             successo” oppure, in caso d’iniziativa proficua, pronto a collocare, accanto all’esercizio di successo, il proprio. L’apertura di un nuovo locale pubblico attraversa tre fasi:

infatuazione (in quel locale si mangia benissimo, si paga poco e l’igiene è ottima);

indifferenza (si mangia bene, ma i prezzi sono aumentati e sull’igiene non mi pronunzio);

disfattismo (si mangia male, si paga troppo e l’igiene è pessima).

 L’aspetto curioso della vicenda è che questi tre giudizi, profondamente diversi, si formano e si modificano nell’arco di un lanmpo brevissimo, il che ci caratterizza per un’altra qualità: la volubilità.

Il linguaglossese ha con il proprio paese un rapporto amore-odio. Lo critica, ne esalta più i difetti che i pregi, lo calpesta, l’oltraggia, non                                                                                                                                                                                              fa nulla per migliorarlo, salvo a difenderlo, se a criticarlo è chi non del luogo. Una specie di patriottismo “bellico” L’auto, l’abbigliamento sono la cartina di tornasole per giudicare gli altri. Per non dare negli occhi basta indossare un paio di “causi strazzati” o “made in China” altrimenti ogni stravaganza è fonte di strali.

Farsi i fatti propri è vietato. Si guarda più la spesa nel carrello degli altri, che in quella propria. Se un forestiero chiede di sapere dove abita una persona, si fornisce il suo curriculum completo, con la richiesta di rito: “Scusi, ma perché lo cerca?”. La privacy? Come si fa a                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         rispettarla, se ognuno la mattina inizia la giornata raccontando i fatti propri e quelli degli altri? Le case sono verande di vetro attraverso cui è possibile vedere e qual che non si vede, s’immagina.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              Più che un paese, un palcoscenico su cui ognuno “recita, a soggetto”, il proprio ruolo quotidiano, vestendo ora i panni del protagonista ora quelli dello spettatore. Un paese, dunque, come tanti altri? No! E ’il migliore, perché è il mio paese.

 

 

 

 

lunedì 5 agosto 2024

Il ritorno del lupo

 

Il ritorno del lupo.

Dopo due guerre mondiali, mezzo secolo di guerra fredda e ottant’anni di tregua, si sperava in un’Europa di pace. Assistiamo invece a due guerre (Ucraina e Gaza) che poco manca non si trasformino su vasta scala, per non parlare di quelle sparse in tutto il mondo, sfacciatamente silenziate. E’ il ritorno del lupo, quella bestia che c’è dentro di noi, che di tanto in tanto si risveglia, facendo piombare il mondo indietro di secoli. Un comportamento umano che qualcuno, fin dall’antichità, ha definito:’homo homini lupus’, per designare lo stato di natura in cui gli uomini, soggiogati dall’egoismo, si combattono l’un l’altro per prevaricare sul più debole. Un comportamento che trova applicazione su vasta scala, a cominciare dal rinato schiavismo, che pensavamo fosse stato definitivamente sconfitto. La stessa democrazia nata come contrappeso alla dittatura, esercitata in molti Stati, appare sempre più debole, affetta dal virus dell’odio, che trasforma la lotta politica in violenza verbale e fisica. Se a tutto ciò si aggiunge la presenza di leader zoppicanti e privi di carisma, la crisi politica culturale ed esistenziale precipita nel caos, aprendo le porte al ritorno del lupo che c’è dentro di noi, appena sopito, ma mai estinto. Ne sono esempi i vari femminicidi, gli stupri sempre più numerosi, paradossalmente presenti in una società, in cui si pratica il divorzio, le famiglie allargate, una regola, e la vita sessuale non è più un  tabù. Cosa non ha funzionato per arrivare a tutto questo ? Forse la dissoluzione della famiglia, l’imperante egoismo, la sconfitta della scuola, il venir meno della religione, concause che hanno trasformato l’uomo  in dio di se stesso, annullando la trascendenza che fa paura:un nuovo modo di pensare e di vivere,sostituito dal solo benessere fisico e materiale. In sostanza, il ritorno del lupo che c’è dentro di noi. Pubblicata  oggi 05.08.2024 su La Sicilia

 

 

domenica 4 agosto 2024

Cosa consigliare a chi cerca casa

 

Cosa consigliare a chi cerca casa.

Se cerchi un paese dove stabilirti o una casa da acquistare per starci, forse faresti bene, prima di scegliere, a venire a Linguaglossa. Prima di scoprire le sue bellezze e i suoi abitanti, sappi che, qui, l’ospitalità non ha eguali, la respiri in ogni dove.

È la legge del cuore. Te ne accorgi subito. Se chiedi a qualcuno dove si trova una via…… ti accompagnerà, elencandoti tutti gli abitanti del quartiere: è il sacro ‘rito della presentazione’.

Le più belle sensazioni, poi, sono quelle dirette che ti giungeranno agli occhi e al cuore: le viuzze, prima ancora delle strade principali. È là che coglierai l’anima del paese, là ove il tempo si è fermato. Entrerai in un passato senza tempo e, per un attimo, anche il tuo si sarà fermato.

Tra quelle strade, un tempo piene di gente, ti sembrerà di ascoltare ancora le loro voci e la loro gioia di vivere. Sentirai l’odore del muschio che copre i muri, il profumo del gelsomino che sbava dai muri o vedrai pelargoni rosa rovesciarsi da barbosi balconi darti il benvenuto.

Ascolterai il ritmico, gioioso picchiettio 'du partituri” del beccaio, curvo, come pastorello da presepe, intento a preparare la salsiccia al ceppo o sentirai l’odore del pane appena sfornato.

Poi, quando, riemerso dal passato, scoprirai le strade cittadine, le ville comunali, le chiese e i palazzi non saprai dove scegliere: se cercare casa in una delle tante viuzze, dove regna il silenzio e un raggio di sole non si nega mai o in una delle tante vie principali da dove, affacciato, vedrai passare il Santo Patrono, le sfilate di carnevale, la banda musicale, giovani donzelle agghindate e gioviali.

Tra le quattro mura che hai scelto, che appartengono solo a te, re ti sentirai, tra amici, perché qui da noi il forestiero è la nostra parte migliore.

Anche se non arrivi in groppa al cammello e non trovi da dattero le palme, sappi che hai appena trovato un’oasi, da cui, mai ti vorrai separare. 

sabato 3 agosto 2024

Anche le campane hanno un nome

 

Anche le campane hanno un nome.

A volte il progresso, snatura il nostro modo d’essere, perché ci ruba qualcosa che sta scolpito dentro di noi. Chi ha avuto la ventura di nascere in un piccolo paese, Linguaglossa, vive di ricordi, di tradizioni, di colori, di personaggi, di suoni.

Tra questi suoni, i rintocchi degli orologi campanari che segnavano i quarti e le ore. Al primo rintocco conoscevi già il campanile dal quale proveniva, perché ogni campana aveva la sua "voce", differente, inconfondibile: grave, “la” bemolle, quella delle ore della Matrice, squillante, “si" bemolle quella dell’Annunziata.

Mai che questi orologi campanari segnassero le ore con sincronia, perché, anche se chi sovrintendeva alla loro regolazione era lo stesso, don Saro, detto “fatittedda”, estroverso e tutto pepe, alto quanto “u battagghiu di ‘na campana”, diversi erano i momenti e i suoni delle campane, come se fossero sincronizzati sui caratteri dei sacrestani che avevano a cura le chiese: taciturno il primo, don Salvatore, detto “ turi nascazza” (impressionante la sua somiglianza all’attore Paolo Stoppa), metodico il secondo, detto “machinetta o barbarozzu”.

Sentivi già al mattino che il paese era sotto una coltre di neve, se, al risveglio, la prima campana che segnava i quarti aveva la voce soffocata dalla neve che la ricopriva.

Tiravi su la coperta, come se quel suono smorzato di campana ammantata di bianco ti trasmettesse il freddo dell’esterno e seguitavi a dormire, immaginando paesaggi innevati e smarriti pettirossi a beccare nei “mignani” tra rami rinsecchiti di basilico.

Oggi un altoparlante azionato da disco diffonde nell’aria melodie sempre uguali e i campanili, perduta la loro dignità, non diffondono differenti rintocchi, come se, rese mute le campane, ai campanari avessero strappato le corde vocali.

Quando il progresso ti ruba la tradizione è come se qualcuno, usandoti violenza, ti costringesse a camminare nudo per strada. Un’anima spogliata dei suoi ricordi è, infatti, come una lampada fulminata, inservibile.

Tratto da “Linguagrossa civitas dilecta integra vol I” di Saro Pafumi

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 2 agosto 2024

L'elogio dell'essenziale,il lavoro nero

 L’elogio dell’essenziale, il lavoro nero.

‘Menu mali ca u Signuri c’è’. Con questo modo di dire, tipicamente siciliano, qualcuno vorrebbe significare che dinanzi alle difficoltà della vita, talvolta affiorano soluzioni impensabili, che fungano da contrappeso alle ingiustizie sociali. E così “Menu mali ca u Signuri c’è” può riferirsi al fatto che c’è il lavoro nero, una forma di provvidenza divina. Il governo ci ricorda continuamente che la ripresa è decollata, anche  se l’unica cosa che è veramente decollata è la disperazione di chi non trova lavoro. Non è vero neanche questo, perché il lavoro, quando c’è, è nero. Il governo, oltre alla ripresa che non c’è, ci ricorda un’altra realtà e cioè che bisogna debellare il lavoro nero. Guai solo a pensarlo. Assisteremo a scene, come la presa della Bastiglia, di francese memoria, con le teste dei nostri governanti, che cadrebbero una a una sotto l’inflessibile ghigliottina popolare. Il governo ha contezza che in mancanza di lavorio nero non esisterebbero parlamento e democrazia? Il lavoro nero, per chi non lo sapesse, è l’unica risorsa che mantiene in vita la società meridionale, in cui lavorare non è un diritto, ma una condizione di vita. Nessuno tocchi il lavoro nero, l’unico baluardo a difesa di milioni di disperati. Senza, non saremmo sicuri neanche se ci rinchiudessimo dentro un bunker. Il governo deve capire che tenendo, in qualunque modo, la mente occupata delle persone è il migliore sistema per non farsi giudicare. Non vorrei trovarmi in una società in cui non si lavora, ma si pensa solamente. Sapete come mangia il pane chi lo guadagna col lavoro nero? Lo impasta con i denti, la lingua, il palato, le guance e la poca saliva che gli rimane; ne assapora il gusto, l’aroma, la fragranza; lo trattine a lungo, in bocca, perché attenui la sofferenza della fatica e prolunghi la speranza di ripetere il rito il giorno dopo. Perciò, ’Menu mali ca u Signuri c’è’ e ha le sembianze del lavoro nero,perché in atto alternative al lavoro nero non ne vedo. Elogio del lavoro nero o elogio dell’essenziale? Fate voi.