Quell’antico odore di mosto.
Inebriante, dolciastra nuvola ti sentivo, quando, schiudendo la finestra, entravi prepotente. Ottobre è arrivato! Pensavo. E con esso il profumo del mosto che fin dall’albeggiare muli carichi di otri penzolanti, spandevano per le vie del paese, con il loro rassegnato, monotono zoccolare. La cantina di don Nai, aperta fin dal mattino, attendeva il frutto del raccolto, che mosto era diventato, dopo che mille piedi danzanti di euforici villani, storditi dall’alcol e dalla fatica, tra canti e suoni, grappoli d’uva avevano pigiato fino a farli diventare nettare spumeggiante. Tra una bestemmia e l’altra, nel sollievo dei muli, alleggeriti del loro carico, legati agli anelli di nera pietra, incastonati come gemme, iniziava lo scambio dei ruoli. Non un sodalizio, ma un legame affettivo, tra uomini e bestie, le loro fatiche, ora che dalla groppa dei muli, su spalle madide e appiccicose quegli otri si trasferivano per essere svuotati nelle botti. Don Nai, raggiante, contava gli otri, uno a uno, badando che non una sola goccia del prezioso nettare andasse perduta, che sangue doveva sembragli. Dubbioso se quel vermiglio liquido, fosse frutto dei suoi sforzi o di chi, ricurvo, per un pezzo di nero pane, aveva lavorato le sue vigne un intero anno. I muli con la testa dentro la “sacchina”, piena d’orzo, pareva non partecipassero ai lavori del travaso, ma il loro lento, coscienzioso masticare si confondeva con le voci dei mulattieri, intenti a contare ‘i viaggi’ fatti e da fare in quell’uggiosa giornata di ottobre, segnata da una leggera pioggia che mescolava gli effluvi dello sterco dei muli all’odore del mosto. Don Nai non era prodigo per natura, ma in certe occasioni, come la vendemmia, lo sbottamento e il trasporto, le tradizioni le rispettava. Un piatto di pesce stocco era la pietanza preferita dai mulattieri, sui cui volti per un attimo la fatica spariva, anche se nel loro destino l’odore dei pasti e dello sterco è un inscindibile aroma che si mescola da secoli.venerdì 27 settembre 2024
giovedì 26 settembre 2024
RImembranze bucoliche
Rimembranze
bucoliche
Se c’era un
passatempo che amavo trascorrere dopo la vendemmia, era la ricerca dei grappoli
dimenticati sulle vite. “Rappucciari” si diceva a quei tempi.
Munito di un
piccolo paniere e un coltellino, girovagavo tra le spoglie viti che il dolce
nettare avevano donato, dopo una stagione di tribolazione e fatiche, per
raccogliere il loro ultimo respiro, ‘u rappocciu’ (piccolo grappolo d’uva) che
mani distratte avevano abbandonato.
Colpiva la
dolcezza di quel grappolo, che superstite di un abbondante raccolto, sembrava
un pendente trovatello, che per amore non aveva voluto separarsi dalla madre
che lo aveva generato In un’epoca in cui si cerca l’abbondanza,la dovizia,
l’eccesso, quella piccolezza doveva sembrare un dono di Dio, il trionfo degli
ultimi,l’esaltazione della modestia, disdegnata da chi, vestito di boria, quel
grappolo ignorava.
Così raccolto,
lo depositavo nel paniere, su di un letto di felci, come si fa con un bimbo,
dopo un bagno ristoratore, e ne facevo dono a mia madre, che quei grappoli
adorava più e forse dell’intero raccolto, apprezzando quella mia ricerca, che
lei definiva fatta col cuore.
Quel girovagare
in mezzo alle spoglie viti era per me
come volere rivivere il rito della vendemmia appena finita, con le sue fatiche,
ma anche con i suoi canti e le sue tradizioni, che segnavano la vita di me
giovane, immerso in un mondo pieno di fatiche, ma anche di tanta poesia, ahimè
perduta.
mercoledì 25 settembre 2024
Sposato ? No,convivente !
Sposato? No, convivente !
Posta così la domanda può sembrare pleonastica e impertinente, perché nove volte su dieci, la risposta è prevedibile. Siamo ritornati a molti secoli addietro, ai tempi dei romani, quando la famiglia, per ritenersi tale, doveva poggiare su due requisiti: cohabitatio e affectio maritalis, assegnando al solo maschio il diritto al ripudio. .Con l’avvento del cristianesimo, il cattolicesimo s’inventò il matrimonio come sacramento,con la relativa indissolubilità dello stesso,per dargli stabilità. Per molto tempo questa pratica ebbe successo, finché, frutto di un certo progresso, fu introdotto il divorzio, estendendo alla donna il diritto di scegliere. Una modifica e insieme un’apertura,quella del divorzio, che apriva una crepa sulla strada dell’instabilità de rapporto. Quando si trasforma un istituto, si finisce col demolirlo, per cui oggi nulla rimane del vecchio istituto indissolubile, ridotto a rango di semplice convivenza. Che sia un male o un bene dipende dalle scelte personali, ma certamente il progresso non si può fermare. Deve purtroppo riconoscersi che questa ‘fluidità relazionale’, non giova certo ai figli, specie se minori,che della disarmonia tra i genitori ne sono vittima, Ma tant’è !’. In quest’epoca d’individualismo selvaggio, ciò che importa è il benessere personale. Ben venga quindi la convivenza, universalmente praticata, dove converge tutto e il contrario di tutto. Una cosa rimane certa. In questo rapporto il futuro non esistegiovedì 19 settembre 2024
La legge è uguale per tutti.Ipocrisie istituzionali
La legge è uguale per
tutti. Ipocrisie istituzionali.
Se si entra in un’aula di giustizia, la prima cosa che colpisce è lo scritto che si pavoneggia dietro lo scranno della presidenza: la legge è uguale per tutti. Non si potrebbe immaginare un’affermazione autoreferenziale più ipocrita ed espropriativa dell’animo popolare. Se non fosse per l’aria lugubre che aleggia nell’aula, a quella scritta si reagirebbe con una sonora risata. Niente di tutto questo. Nasce spontanea, invece, la reazione che comporta quella scritta, accompagnata da una serie di riflessioni. Primi fra tutti certi intrighi o intrallazzi, che accompagnano molte sentenze, che vestite con l’abito del bene supremo, tradiscono la ricerca della verità, seppellita da interessi, compromessi e talvolta persino corruzione. In tutti questi casi, la scritta è sempre là, a ricordarci che la legge è uguale per tutti o almeno per gli ingenui o i credenti timorati del potere. Altra stupefacente sfacciata ipocrisia, quella contenuta all’inizio delle sentenze, dove in testa al foglio campeggia lo scritto “ In nome del popolo italiano” Forse sarebbe il caso che quest’inutile, quanto medievale preambolo fosse rimosso, perché non c’è affermazione più autoreferenziale, farisea ed espropriativa dell’animo popolare, che di molte sentenze non condivide il contenuto. Forse sarebbe il caso che le sentenze iniziassero con solo: “In nome della legge.” Anche in questo caso si chiederebbe: in nome di quale legge, quella di primo grado che condanna un imputato o quella d’appello che lo assolve? O quelle della cassazione, talvolta discordanti, salvo quando espresse a SS. UU? Forse sarebbe il caso che le sentenze iniziassero senza preambolo alcuno, col solo riferimento al Collegio o Corte che le ha espresse. Ogni sentenza, infatti, è frutto dell’interpretazione che ne danno i giudici sottoposti alla legge, ma influenzati dalle proprie opinioni, credi, umori, strategie sociali e/o politiche, che influenzano il verdetto. Per un individuo è una vera calamità imbattersi nel giudizio di un proprio simile, che talvolta è peggiore di lui, con o senza toga. Pubblicata oggi 19.09.2024 su La Sicilia
lunedì 9 settembre 2024
Uun sito su cui pubblicare i propri desideri in pubblico
Un sito su cui pubblicare i propri desideri in pubblico.
Smanettando su Internet alla ricerca di notizie meritevoli di approfondimento m’è capitato “tra le dita” un sito che può definirsi “il confessionale” dei giovani e meno giovani, non quello di pregevole noce che tante volte abbiamo visto in chiesa, ma quello più moderno, rigorosamente telematico,nel quale ciascuno confessa i propri desideri, spesso esclusivamente indirizzati alla ricerca dell’anima gemella, come panacea di frustrazioni vissute. Nessuno si sognerebbe di gridare o scrivere ” Vorrei fare l’esperienza di fare sesso, in pubblico. Com’è avvenuto da parte di una trombata in politica,passata alla TV. In una società, che del consumo e del sesso,oltre che di altre biasimevoli abitudini, ha fatto la propria religione, non c’è da stupirsi. Meraviglia non poco, però, la spregiudicatezza di questi messaggi, in particolare di persone“felicemente” ammogliate con prole,alla ricerca di una seconda, terza, quarta anima gemella. Ciascuno di noi può nutrire inconfessabili desideri, ma prudenza impone di non esternarli in pubblico o per chi ci crede di affidarli, semmai, al proprio confessore o allo psicologo.Come si giustifichi questa confessione pubblica? Leggerezza, spregiudicatezza, disinvoltura, irresponsabilità, sfrontatezza? Solo terapia.Affacciarsi alla finestra di Internet non significa dialogare con la propria “Giulietta”,ma affidare al mondo intero le proprie frustrazioni, dove“ l’altro” è una sconfinata moltitudine di persone e la parola ha il fragore rumoroso di un uragano, disperato, quanto diseducativo. Un grido liberatorio di aiuto di chi in Internet cerca la fede o la forza di credere in se stesso. Forse sta nascendo una nuova religione: Google.Pubblicata oggi 09.09.2024 su La Sicilia
domenica 8 settembre 2024
La musica come terapia apre scrigli segreti
La musica come
terapia apre scrigni segreti.
Tra le tante muse che ispirano l’animo umano, la musica è l’arte che più di tutte entra nel cuore ed è capace di stimolare sensazioni forti e far riemergere lontani, sopiti ricordi, fotogrammi di vita, che scorrono veloci. Aghi che come spade pungenti trafiggono il cuore per tramutarsi in brividi. Si può rimanere folgorati davanti a un quadro o scossi dall’ascolto di una poesia, ma la reazione che si prova ascoltando certi brani musicali non ha eguali. Come possa tramutarsi in lacrime l’ascolto della famosa aria della Tosca “ E lucevan le stelle”, carica di afflato emotivo, è difficile spiegarlo. Forse rimuove grumi di dolore sepolti, che impetuosi riemergono in un cuore sensibile all’ascolto, capace di tramutarsi in tristezza, che ci riporta a una situazione di vita vissuta. La relazione tra suono ed emozioni è oggetto di studio, un legame che influenza le nostre emozioni e il nostro stato d’anima. La musica ha il potere di toccare le corde più profonde del nostro essere acuendo una serie di emozioni, tra cui il benessere fisico e psicologico, con funzione terapeutica. E’ un canale attraverso il quale si esprime e si processano le emozioni, che altrimenti rimarrebbero inespresse. La musica in certe situazioni spesso determina un distacco dal mondo, uno stato ascetico, che purifica lo spirito. Un miracolo, in sostanza. Ascoltiamo la musica che ci rigenera e forse ci rende migliori. E’l’illusione che ci rende felici e la musica è il miglior vettore. Pubblicato su La Sicilia il 30.08.2024
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