I tanti professori d’italiano che ho avuto l’immeritato piacere d’incontrare nella mia carriera scolastica mi hanno insegnato, oltre alle tante regole da rispettare nello scrivere, anche la forma. L’uso appropriato degli aggettivi era una raccomandazione frequente, perché l’aggettivo, sostenevano, serve a vestire il sostantivo della qualità che l’accompagna, come avviene con un abito che, se ben confezionato, sembra essere cucito addosso a chi lo indossa. Questa breve premessa nasce dalla constatazione che chi scrive sui giornali speso dimentica questa regola e a volte usa, per brevità, termini impropri, tali da modificare radicalmente il senso dell’argomento trattato. Quando, per esempio, ascolto o leggo che il governo ha reso i licenziamenti più “facili”, m’interrogo se quest’espressione sia aderente alla realtà. Poi magari nel leggere l’articolo si scopre che il licenziamento è limitato ai casi in cui l’azienda versa in cattive condizioni economiche, talchè il licenziamento, verificate le asserite condizioni di disagio, è reso possibile dalla legge. Non è di tutti, purtroppo, approfondire il contenuto di un argomento giornalistico, per cui quel “facile” che accompagna il titolo genera o può generare nel lettore confusione, disorientamento, apprensione. Spesso nel confezionare un articolo si dovrebbe fare come con le medicine: accompagnare l’articolo con la raccomandazione di leggere le indicazioni d’uso, ossia di usare la precauzione di leggerlo per intero, perché il titolo, a volte, può essere fuorviante.
Pubblicata su La Sicilia 02.11.2011. Saro Pafumi
Nessun commento:
Posta un commento