Comprendo l’esigenza del giornalismo di usare titoli quanto più sintetici ed espressivi, ma mi si consenta l’osservazione, trovo di cattivo gusto l’espressione sovente usata: “ alla sbarra” per indicare un imputato anche solo iscritto nel registro degli indagati. Per “sbarra” s’intende la divisione di ferro esistente nelle aule giudiziarie per dividere gli imputati dai giudici. Da qui l’origine del termine. Vada, pertanto, quando il termine è usato nel caso d’imputati realmente ristretti nella gabbia, come talvolta si vede nelle aule giudiziarie, ma quando esso è usato per indicare un imputato rinviato a giudizio, o semplicemente indagato il termine, mi sembra non solo poco appropriato, ma addirittura di cattivo gusto, “medievale”. L’imputato è sempre soggetto alla presunzione d’innocenza. L’espressione linguistica non è solamente forma, ma anche sostanza, stile, civiltà e ogni parola ha il suo peso. La dignità di un uomo resta tale anche quando veste i panni dell’imputato. Lasciamo perciò che il termine sia usato espressamente e limitatamente in caso di persone che “visivamente” sono ristrette entro le gabbie, che spero la civiltà un giorno non lontano, le spazzi via, sostituendole con divisioni un po’ meno mortificanti, qualunque sia il reato che si giudica.
Pubblicata su La Sicilia il 04.11.2011. Saro Pafumi.
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