Chi ha avuto necessità di rivolgersi ad un ufficio pubblico o privato per il disbrigo di una pratica, ha senz’atro notato il differente stile di chi è preposto a ricevere il pubblico. Nel primo caso l’educazione, la professionalità, la cortesia sono di casa, nel secondo incontrare un impiegato con questi requisiti è come trovare una mosca bianca, con le dovute, sacrosante eccezioni. Ma poiché l’eccezione conferma la regola. tirando le somme gli uffici pubblici non fanno bella mostra di sé in quanto a gentilezza e cortesia e talvolta persino a professionalità nei rapporti con gli utenti.
Si spazia in questi casi dal mutismo, al tono infastidito, peraltro nemmeno tanto simulato, all’ostracismo dichiarato, per finire all’insolenza.
L’utente che ben conosce la psicologia dell’impiego pubblico, in genere s’accosta con rispetto e deferenza se non addirittura con timore, il che non agevola di certo l’approccio. Presentarsi “col berretto in mano”, un modo educato di chiedere, talvolta è scambiato per debolezza o timore, con la conseguenza che sul povero malcapitato si apre un inaspettato fuoco d’artiglieria.
In certi uffici, una domanda è ammessa, due sono troppe, tre sono l’anticamera dell’espulsione.
La differente condotta tra privato e pubblico sta soprattutto nella difesa di cui dispone l’impiegato pubblico, forte del sindacato che lo rappresenta, prerogativa che manca nel settore privato. Conseguenza di questa cattiva prassi generalizzata è la ricerca “dell’amico”. “Le porto i saluti del dr………….il quale mi ha consigliato di rivolgermi a Lei per………” è la premessa che apre la porta… In questi casi, La cortesia diventa un obbligo, la pratica si trova e talvolta pesino la soluzione del problema.
Se così è, mi chiedo: che differenza passa tra chi si rivolge ad un “mammasantissima”, non disponendo d’amicizie più idonee, per risolvere un problema che lo tormenta e chi si rivolge all’amico di famiglia o al conoscente influente per risolvere il suo? In entrambi i comportamenti si ravvisa il concetto di “mafiosità”.
Quando la cortesia, la disponibilità, che sono o devono esser un obbligo, si trasformano in ostracismo o sopruso, diventano necessarie le ricette per arginarla… Il benpensante che non ha gli strumenti adeguati per essere ascoltato scopre l’antidoto “nella raccomandazione” un aiuto che neutralizzi l’altrui volontà di sopraffare o di sottrarsi al proprio dovere. Da qui a rivolgersi “all’amico” per ritrovare un’auto rubata, il percorso è breve. Non importa se nel primo caso l’intervento dell’amico è gratuito ( ma può anche non esserlo) e nel secondo prezzolato. Quel che si evidenzia in entrambi i casi è la convinzione che per ottenere un proprio diritto è necessario l’intervento esterno, una forza pari o superiore alla resistenza da rimuovere. Questo germe si definisce “mafiosità” un’erba infestante che alligna nell’animo, facendo ritenere normale e necessario un atto, un comportamento di per sé riprovevole.
Un’esperienza personale. A Napoli sul Ponte della Sanità mi fu sottratta dall’auto una borsa con documenti. Mi precipitai in caserma per denunziare l’accaduto. Risposta : Torni domani Mi ricordai che in quella zona, come primario di un reparto dell’ospedale operava un mio carissimo amico. Grazie al suo intervento (per motivi professionali conosceva “ il referente” della zona) ebbi, entro un’ora dall’accaduto, i miei documenti ( senza cartella di pelle) accompagnati dalle scuse e da un ottimo caffé napoletano.
Mi salvò, in quell’occasione, lo confesso, la mia abitudine mentale “al sistema”, tipica di chi la mafiosià nel nostro corpo sociale la respira tutti i giorni.
Saro Pafumi
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