L’uomo e la formica.
Non si conta il numero delle formiche calpestate ogni giorno dal piede distratto dell’uomo. A chi possono interessare quelle morti. Non c’è difesa per esse, perché il Padreterno, o chi per Lui, le ha dotate di tante virtù, ma le ha negato di guardare in alto e conoscere quel gigante, che è l’uomo. Continuano da sempre a guardare avanti, impegnate a raggiungere la meta, ignare di potere rimanere vittime sul lavoro, schiacciate da quel piede assassino. Anche all’uomo può capitare di restare vittima di un incidente, come chi cade in un fossato e lì rimane stordito tra la vita e la morte. E’ il momento in cui la formica, transitando sul ciglio di quella voragine, guardando in basso, scopre la mole di quel gigante. Nulla può fare per aiutarlo, nemmeno se riuscisse a chiamare a raccolta un’intera tribù di formiche. Lo vede debole e indifeso, accomunato dallo stesso destino: impotente dinanzi alla morte. Da quell’altezza si scopre per un attimo anch’essa gigante, quasi superore a quell’essere che laggiù giace. Ne ha quasi pietà, un sentimento che a lui manca, quando col suo piede distratto schiaccia chissà quante sue consorelle. Così scopre che non é la grandezza che li fa diversi, ma il sentimento che pulsa dentro i loro cuori ed é orgogliosa della sua minutezza, che la pone sopra le misere umane cose. “Che cosa importa se siamo così diversi, in quanto a statura, se poi la sofferenza e la morte ci accomunano ? Nell’immensità dell’universo le differenze si annullano e anche l’uomo diventa una formica. Un sentimento che si coglie ne “L’infinito” di Leopardi, dove l’anima s’immagina quello che non vede di là dalle apparenze.
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