Ragazzino, mia madre mi mandava a fare la spesa “ ‘nda putia di Donn’Affiu “tremma-tremma”, a pochi passi da casa mia, dove si poteva trovare di tutto, disordine compreso. Cortese, generoso, dalla battuta facile divideva la fatica con la moglie e non trovava difficoltà a vendere, perché quella era l’epoca in cui si comprava a credito. Gli erano bastati pochi anni d’esperienza, però, per capire che vendere “ a cridenza” non era la strada migliore per fare affari, cosicché aveva deciso di eliminare tale pratica. Per reclamizzare il cambio di rotta aveva deciso di affiggere dietro il bancone due foto che ritraevano due differenti personaggi: il primo, un omone grande e grosso, rubicondo e ben vestito sotto la cui immagine si leggeva: io vendo in contanti. Accanto, altro personaggio magro e smunto, malvestito e con la barba incolta e la scritta: io vendevo a credito.
Era un sapiente modo di fare intendere che qualcosa era cambiato nel modo di vendere e i clienti invitati ad adeguarsi. Se, all’epoca, l’espediente avesse sortito effetti pratici non saprei, ma resta comunque la delicatezza espressiva di quel messaggio che sostituiva l’asprezza di certi moderni cartelli con su scritto: non si fa credito a nessuno. La gentilezza di un rifiuto talvolta disarma più di un imperativo, se spiegato nelle forme dovute e quel cartello con i personaggi raffigurati era un esempio di eloquenza espressiva. Donn’Affiu “tremma-tremma”, però, “sotto-sotto”, all’insaputa della moglie, un po’ di credito continuava a praticarlo, generoso com’era, ma badava a scegliere con oculatezza il cliente meritevole. Dopo anni di mestiere aveva capito che le promesse del cliente erano parole al vento, per cui era meglio farsi guidare dal proprio istinto. Per far questo aveva raffinato la sua capacità intuitiva studiando da capo a piedi il candidato meritevole. Convinto che si fosse, allargava generosamente i cordoni della borsa, sicuro di non prendere la “ gatta nel sacco”. A chi gli chiedeva quali fossero i requisiti per ottenere credito donn’Affiu “tremma-tremma” non si sbilanciava più di tanto, riluttante a confessare il suo segreto. Solo alla moglie che gli rimproverava la sua generosità, aveva confessato, per giustificarsi, la formula magica. “Vedi”, le disse un giorno, “devi fare attenzione ai piedi del cliente. Se calza scarponi annodati con la rafia è segno di miseria. E la miseria, ricordati, non va mai a braccetto con la disonestà.” Saggezza d’altri tempi.
Pubblicato su La Sicilia il 24.01.2011
Saro Pafumi
1 commento:
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