Quando la Pasqua era dei bambini.
Un tempo, ahimè, ormai remoto, a Pasqua l’appuntamento di noi ragazzi, a Linguaglossa, era a mezzogiorno davanti alla Chiesa Madre. La sera precedente era un’affannosa ricerca di “troccule” di tutti i tipi, perché il loro rumore doveva essere assordante come l’evento eccezionale che si doveva festeggiare: “vidiri abbrivisciri Cristu”, da dietro l’altare maggiore, con la bandiera in mano e una nuvola d’incenso che l’accompagnava. Avvenuta la risurrezione Il suono delle “troccule”, in piazza, si mescolava allo scampanio assordante delle campane a festa, perché a quell’ora Cristo risorto era la vittoria della vita sulla morte. Pochi giorni all’anno capitava tanta allegra spensierata partecipazione dei giovani ai riti religiosi e la Pasqua era l’unico giorno in cui il cuore di noi giovani era pieno di gioia e di meraviglia. Di gioia, perché la risurrezione apriva i cuori alla speranza; di meraviglia, perché l’assurgere di Cristo da dietro l’altare si accompagnava all’emozione fanciullesca che la scenografia sacra rappresentava. Ogni attimo di ritardo sull’orario previsto portava con sé una crescente trepidazione negli astanti, specie di noi giovani che, quell’evento, vivevamo con straordinaria, fresca, autentica ingenuità. Ancora col profumo d’incenso nelle narici, si correva fuori dalla Chiesa in un festoso, crescente delirio, con la “troccula” che azionata a mano o fanciullescamente spinta su ruota finiva di essere un semplice, rustico, rumoroso arnese di legno, per trasformarsi in un magico, liberatorio grido di vittoria sulla morte che la risurrezione di Cristo trasmetteva ai nostri cuori. Oggi che la Pasqua, spostata a mezzanotte, ha lasciato per strada la festosa ingenuità di molti giovani, un auguro rivolgo a tutti, in occasione della Santa Pasqua: poter rivivere nella mente il magico, festoso suono delle “troccule” e nel cuore la fresca giovanile gioia per la risurrezione di Cristo, accompagnata da quel magico profumo d’incenso che ciascuno ha gelosamente custodito in qualche cassetto della propria memoria. Un salto all’indietro, quando la Pasqua era giovinezza. spensieratezza, freschezza, ingenuità, allegria e Cristo risorto un’emozione, oggi sbiaditasabato 30 marzo 2024
martedì 26 marzo 2024
"Lettera a me stesso".Un tradizionale del lunedì.
“Lettera a me stesso”. Un
tradizionale del lunedì.
Quando
il lunedì s’inizia la giornata, sfogliando La Sicilia, è un piacere leggere “Lettera
a me stesso” di E. Trantino, una tradizione, come mangiare pesce il venerdì. E’
forte il desiderio d’immergersi in una buona lettura, fatta di forma elegante e
raffinata, in una società che ha abdicato alla sua lingua madre, ma anche di contenuto,
perché sprona a pensare: un’attività sempre più rara, sopraffatta dalla
quotidiana superficialità. Trovare, su quest’angolo di rara cultura, una nota
che mi riguarda, non è cosa di tutti i giorni. E’ come un temporale estivo e
inaspettato, che sprigiona i vapori delle strade polverose e apre i polmoni
all’odore intenso della terra, come le parole a me dedicate dall’autore, che
hanno il profumo della stima e della sincerità. Una sensazione rara a
percepirsi in questo mondo popolato, per dirla con l’Autore, da “ portatori,
gialli per itterizia dello spirito, che si eccitano come fortunati profeti
delle sventure altrui”. Leggere la rubrica “Lettera a me stesso” non è solo il
piacere culturale del lunedì, ma una tradizione, per imparare a sapere scrivere,
riflettere e pesare, perché questa è la missione che si prefigge l’Autore: cercare
negli altri, attraverso la metafora di una lettera a se stesso, le risposte
alla solitudine in cui è sprofondato il mondo di oggi, senza futuro, privo di solidarietà
e di valori. Pubblicata su La Sicilia oggi 26.03.2024.
domenica 24 marzo 2024
Sulla separazione delle carriere
Sulla separazione delle carriere.
Ogni qualvolta si dibatte sulla separazione delle carriere, tra giudici e pubblici ministeri, ciascuno mette in campo le proprie ragioni, pro o contro tale ipotesi. Non v’è chi non veda come le due attività siano ‘naturalmente’ opposte, poiché richiedono una preparazione giuridico/comportamentale assai dissimile. Il pubblico ministero è per natura il dominus dell’attività dì indagine, il primo investigatore della scena criminis, volto alla ricerca delle fonti di prova, al fine dell’esercizio dell’azione penale. Tale attività necessita una preparazione culturale specifica, con la mente rivolta all’investigazione, che va coltivata e raffinata con anni di studi e pratica. Nel Pubblico Ministero è necessario il fiuto dell’investigatore, perché tale è la sua funzione: cercare tutti gli elementi necessari per arrivare all’incriminazione del presunto reo. Un investigatore alla Maigret, che non si cala con comprensione nei contesti umani, come nel personaggio televisivo, ma è, invece, uno spietato ricercatore della colpevolezza a tutti i costi. Come un personaggio del genere, con quell’abito mentale cucito addosso dopo anni di esperienza nel settore, possa d’incanto tramutarsi in giudice, è difficile da capire. Quest’ultimo deve cercare la verità e a tal fine deve sentire la verità come esigenza intima e insopprimibile che, poiché tale, non s’impara, né insegna, ma si possiede come qualità umana. Solo chi possiede questa serena, innata qualità può aspirare a fare il giudice. Esercitare alternativamente le due attività, significa appartenere a due poli contrapposti, che richiedono una preparazione culturale diversa. Non si può programmare l’animo umano come un elettrodomestico, che premendo un pulsante, attua una diversa funzione. La cultura più diffusa del pubblico ministero è la convinzione che “non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti”.Un magistrato che si esprime in tal modo, non dovrebbe giudicare, ma provare a vestire i panni dell imputato innocente. A nessun piacerebbe essere giudicato da chi coltiva pregiudizi del genere, per cui quest’alternanza di ruoli suona offesa alla ragione, alla serenità di chi giudica e alla fiducia di chi ne è coinvolto. Pubblicata su La Sicilia oggi 24.03.2024
giovedì 14 marzo 2024
L'insonnia attiva tipica degli anziani
L’insonnia attiva tipica
degli anziani.
L’anziano
più di chiunque soffre d’insonnia. Essa rappresenta, si dice, il desiderio
inconscio di allungare la vita. In questo lungo peregrinare tra le ombre della
notte, la mente si rifugia nei ricordi del passato, rivedendoli a passo ridotto,
come un film che si svolge davanti ai propri occhi. Uno spettacolo che
rattrista, perché ha il mesto colore di un passato che non torna. Riempire
l’insonnia di ricordi diventa un tormento e la notte si fa più triste e buia.
Meglio renderla attiva, riempiendola di cose piacevoli: pensare il contenuto di
una lettera da inviare a La Sicilia, la cui lettura non dovrà esaurirsi, tra un
sorso di caffè e l’altro, ma fare riflettere. Solo quando l’insonnia ha corpo e
vive di propositi, ha senso viverla, e il desiderio inconscio di allungare la
vita, diventa realtà. Pubblicata oggi 14.03.2024 su La Sicilia
giovedì 7 marzo 2024
Tristo è colui che gode dei mali altrui
“Tristo è colui che gode dei
mali altrui”.
L’uomo
è un animale dotato di ragione Che sia stata una fortuna averla, ho i miei
dubbi. Possedendo la ragione dovremmo essere razionali, ma talvolta la
razionalità è distorta dagli istinti, che fanno regredire l’uomo in uno stadio inferiore.
Avviene, per esempio che un vicino, un estraneo, più semplicemente un
concittadino sia colpito da un avvenimento spiacevole, che lo mette in cattiva
luce. A questo punto nell’animo di molti si attiva un sentimento di condanna,
ma più spesso di compiacimento dell’altrui cattiva sorte. Ci trasformiamo in
zecche che dal sangue altrui troviamo alimento per le nostre debolezze, che
altrimenti tali rimangono, se non ancorate alle altrui disgrazie. La condanna
di un chicchessia ci fa gioire, la sua assoluzione ci lascia indifferenti, anzi
qualche volta ci deprime. Eppure, essendo dotati di ragione, dovremmo gioire, perché
un’assoluzione è la vittoria dell’uomo sul male, che è vittoria di tutti. Invece
si fa largo la malvagità, un istinto estraneo al vero mondo animale. Questo
sentimento malevolo pare abbia origine antiche è ha un nome:, epicaricacia“. ovvero godere della sofferenza altrui, che colpisce
la persona insoddisfatta e incapace di guardarsi dentro, perciò si dice:
“Tristo è colui che gode dei mali altrui”. Liberarsene non è facile, perché è
insita nella natura umana. Non di tutti, per fortuna. Pubblicata oggi
07.03.2024 su La Sicilia
martedì 5 marzo 2024
La gentilezza non ha sesso
La gentilezza non ha sesso.
Si
dice che la gentilezza sia prerogativa femminile Dante, infatti, parlando di
Beatrice la definisce “Tanto gentile e tanto onesta para”. Tra i tanti
aggettivi ha scelto quello alla donna più appropriato. Eppure, a ben pensarci,
questa qualità non è prerogativa delle sole donne, perché spesso la gentilezza
appartiene anche agli uomini. Nella mia lunga vita ho incontrato uomini gentili
non solo nell’aspetto, ma anche nel modo di porgersi. Un risultato che si
ottiene col giusto approccio, preludio di un’empatia che nasce immediata nello
stato d’animo della persona che s’incontra La gentilezza non è solo una qualità
innata in chi la possiede, ma più spesso il prodotto di un giusto comportamento
relazionale, da cui scaturisce. Per essere gentile bisogna essere in due,
perché è dalla comunicazione verbale, da come si gestisce l’incontro, dal
giusto tono della voce, da una stretta di mano, che nasce l’empatia. Se si
realizza questo scambio di valori, la gentilezza è la naturale conseguenza,
maschi o femmine siano i protagonisti. Pubblicata oggi 05.03.2024 su La Sicilia