Cos’è la tangente?” mi chiese il professore di matematica. Per uno come me che in quella materia “zoppicava “non fu facile trovare l’esatta definizione. Dopo un suggerimento bisbigliato del mio compagno di banco riuscii a mettere insieme quattro parole che davano una definizione approssimativa della figura geometrica. Me la cavai con un sei immeritato. Se oggi mi si facesse la stessa domanda, pronto risponderei: “La percentuale più o meno elevata che è chiesta in cambio di favori nella trattazione di una pratica”. Questa seconda definizione è entrata così fortemente nell’uso comune che quando si parla di tangente, nessuno pensa alla geometria, ma l’associa al denaro, al burocrate che di essa si ciba per proliferare. Causa ed effetto della tangente è la corruzione, un tappeto volante su cui prende posto chi ha le giuste leve in mano per decollare. E’ talmente diffusa dalla base al vertice della piramide impiegatizia e non solo, da assumere aspetti decisamente epidemici. Forse sarebbe il caso che al “tangentomane” si vietasse di percepire lo stipendio, potendo egli lautamente vivere di “mazzette”. Si avrebbero due risultati: lo Stato risparmierebbe una montagna di soldi e il concusso potrebbe contrattare ”liberamente” la percentuale da pagare. In buona sostanza si tratterebbe di legalizzare “la prassi” che etimologicamente significa: il trattare affari, modo di procedere per consuetudine e…. con qualche forzatura… “rubare lecitamente”. Le leggi servono per essere interpretate alla luce di nuove esigenze sociali e di costume. Ogni accanimento contro la tangente è destinato a fallire, perché come avviene nel rito del matrimonio sono in due a dire “si”. E poi…corruzione fa rima con prostituzione, entrambe presenti da tempo immemorabile. Pubblicata su La Sicilia il 10.12.2011.
Saro Pafumi
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