Spesso nei racconti delle persone anziane si richiamano alla mente personaggi rimasti memorabili: per la bravura nei mestieri esercitati, per certe loro stravaganze, per le imprese portate a termine, per le caratteristiche fisiche o di carattere o più semplicemente per la carica di simpatia che li ha distinti. Sono piccole storie personali che ciascuno a volte condisce esaltandone il lato umoristico o quello umano. Di questi ricordi vive l’anziano, aggrappato più al suo passato che al presente. A Linguaglossa, nei racconti di “ personaggi e storie” sono pieni i ricordi.
Don Pippinu “cosci ‘i viulinu”, per le sue gambe arcuate, lunghe e sottili aveva un incedere molleggiato come se a posto delle ginocchia avesse due ammortizzatori. Egli è stato l’antesignano del lavoratore precario, alternando alla finta ricerca del lavoro la voglia di non trovarlo… Egli, per certi versi, è stato il vero interprete del sillogismo napoletano:: “il lavoro è una fatica, la fatica fa male, il male fa morire, perciò non lavoro”.
Don Pippinu “mazzola”, provetto barbiere, non usava le forbici, ma la macchinetta tosatrice, perché, ai suoi tempi, ll “pediculus humanus capitis”, volgarmente chiamato pidocchio della testa, si annidava spesso tra i capelli dei giovani. Poiché la macchinetta era quella che gli aveva lasciato in dote il padre, più che tagliare i capelli li strappava, tra le grida dei giovani che si servivano della sua maestria. Memorabile la sua prima notte di nozze con “ a ‘gna Santa carru-carru” Al momento di “consumare”, si racconta, si fece il segno della croce, recitando: “In nome di Dio e ‘ da ‘gna Santa” e la moglie di rimando: “ trentanove e tu quaranta”. Personaggio di rilievo per bravura nei calcoli don Giuvanni “ u liprinu”. Se gli dicevi di essere nato, per esempio, il 24 novembre del 1937, ti dava il tempo di contare fino a tre ed ecco la risposta: quel giorno, era un mercoledì. Memorabile la scommessa tra don Saru e don Matteu. Il secondo sosteneva di essere in grado di mangiare fino a cento arancini. Ad ottanta, buttò la spugna, ma ottanta arancini, a pensarci, sono “una montagna”.
Don Marianu “u scaricaturi” trasportava i barili di vino, a spalla, dalla cantina al piano di carico. Contava i bicchieri di vino che tracannava per ogni barile trasportato. A fine giornata chiuse il conto a 320. Donna Nina “a paparuni” stava accovacciata davanti all’uscio del suo ballatoio sia d’estate che d’inverno, Don Angiulu “ u carritteri”, un prete naturale e genuino come lo aveva fatto sua madre. Quando in groppa al suo asino andava in campagna era seguito da una frotta di giovani manigoldi che gli cantavano in coro: “ Patri donn’ Angiulu carritteri, orbu davanti e sciancatu d’arreri”. Seguiva da parte del malcapitato una giaculatoria di male parole da fare impallidire l’uomo più blasfeno. E poi ancora don Ninu “ sputracavaddi”, Peppi “ u piru”, donna Francisca “nicchi-nacchi”, Enna “ a babba” Carmina “a ciunca”, Peppi “ u surci”, “Babbi ‘i ciccia”, donna Rosa “a pisciara”, “a matarazara”, Turi “ menza cajella”, Ninu lapollu “ u vanniaturi” e tanti altri che ricordare riempirebbero quest’intera rubrica. Simpatici, indimenticabili personaggi di paese, ciascuno con la propria storia sulle spalle, tra realtà e leggenda, vivi ancora oggi nei ricordi.Saro Pafumi
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