martedì 12 luglio 2011
Lettera a un figlio
Quanto accade nella società di oggi, ti confesso, mi lascia amareggiato, perché ciò che la mia mente quotidianamente registra non lascia presagire nulla di buono, né la mia età mi consente di assistere al suo evolversi. Non voglio trasmetterti, perciò, il pessimismo che mi attanaglia, perché non trovo giusto lasciare questo messaggio a te che, pieno d’entusiasmo, come lo ero alla tua età, hai il mondo davanti. Nell’espressione del tuo volto, però, colgo giornalmente la mia stessa amarezza, ma mentre il peso dei miei anni la rende insopportabile, la tua affonda nella speranza. Se così non fosse, ne soffrirei, perché un’incolpevole gioventù “bruciata” è come una vecchiaia sofferente. Noi adulti, ebbene che tu lo sappia, abbiamo vissuto una stagione di colpevole sprovvedutezza, se in qualche caso, per fare un esempio, a soli quarant’anni ci è stato riconosciuto il diritto alla quiescenza. La nostra spensieratezza, giova ammetterlo, l’abbiamo in parte costruito sul futuro di voi giovani, se il mondo che vi lasciamo in eredità è irto di affanni e difficoltà. Un vecchio proverbio recita: “ u patri ca spenni e spanni lassa ‘e so figghi guai e malanni”. Una massima di saggezza che abbiamo dimenticato per un cinquantennio sollazzandoci tra spensieratezza e irresponsabilità. Qualcuno ci rimprovera che la nostra pensione finisce nelle vostre mani, dimenticando di ammettere ch’essa ci è stata da voi anticipata. Per fortuna non è sempre così, perché tanti di voi giovani hanno la dignità di non chiedere, preferendo affrontare sacrifici e/o privazioni, ma se anche ciò non fosse, altro non è che restituirvi a rate quanto vi abbiamo anticipatamente tolto Un paese non è in guerra solo quando è contro altri belligerante, ma anche quando il suo popolo combatte la sua quotidiana battaglia per sopravvivere. E’ questo il mondo di macerie matreriali e morali che avete ereditato e di ciò dovremmo chiedervi perdono. Alea iacta est!, putroppo. Non mi resta che spronarti alla speranza, ma constato ch’essa, per fortuna, fa parte del tuo patrimonio. Mi consola l’averti trasmesso, almeno, una parte di me: l’ottimismo, che a me non serve più. Saro Pafumi
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