venerdì 29 gennaio 2010
SFILATE DI MODA
Lo dico a La Sicilia pubblicato 30/01/2010
Qualche giorno fa in coda al telegiornale, un servizio televisivo mostrava una sfilata di moda maschile. D’acchito ho avuto l’impressione che si trattasse della presentazione d’alcuni costumi carnevaleschi, come anticipo dell’imminente festività. Alcuni giovani modelli indossavano, disinvoltamente, cappelli a forma di gallo cedrone, altri, gonnellini con frange variopinte, altri ancora, cardigan sopra pregiate giacche. Un pot-pourri insolito e variopinto che definire stravacante è dir poco. A vedere quegli impeccabili modelli, vittime sacrificali di una moda stravacante mi sono venute le lacrime agli occhi per l’ilarità che suscitavano. Immaginavo la scena: un ragazzo alla moda conciato a quel modo camminare per Via Etnea tra fischi e lancio d’uova marce.
La curiosa, originale sfilata mi fece venire in mente un personaggio a suo tempo molto noto nel mio paese, Linguaglossa, che noi ragazzini chiamavamo “Turi mangia pane e lira” Un personaggio innocuo quanto “stravacante” che andava in giro per le vie del paese chiedendo una lira di carta, che, ottenuta, collocava, ben dispiegata tra due fette di pane casereccio, che, a suo dire, era il sandwich che preferiva. Immaginandolo, potenza della mente, imbottito ora di mortadella, ora di prosciutto, ora di formaggio, secondo il desiderio della giornata. A completamento delle sue stranezze non poteva mancare di distinguersi nell’abbigliamento. Indossava il cappotto sotto la giacca e non uno ma tre, quattro cappelli ornavano il suo capo. Se qualcuno, donandogli una lira, gli porgeva un copricapo, egli lo collocava disinvoltamente sopra quelli che già indossava, sì da trasformare la sua testa in una specie di pagoda cinese. Certa “costumi” ritornano, se tra i tanti modelli che talora sfilano, si può ancora riconoscere tra loro “Turi mangia pani e lira”, vero precursore di certe moderne mode.
Saro Pafumi.
mercoledì 27 gennaio 2010
Un Maestro di vita
Lo dico a La Sicilia
Come tanti miei compaesani, da giovane ebbi la fortuna di frequentare, da esterno, il Collegio dei Padri Domenicani di Linguaglossa, ai quali devo la mia formazione scolastica. Ciò che rimane nella memoria dei vari professori succedutisi nel tempo non è molto, al di fuori dell’insegnamento che a quel tempo e in quel tempio era profuso a piene mani. C’è, però, un personaggio che porto nel cuore, col ricordo del quale ho attraversato l’arco della mia vita, segno di un rapporto radicato, forte ed indelebile: Padre Luigi Pintacuda, straordinario padre domenicano, più che “dottore in filosofia” quale si leggeva sulla pergamena, maestro, padre, compagno, amico. Non un rapporto insegnante-discepolo, il nostro, ma qualcosa di più che ancora oggi custodisco come tesoro. Quando nei nostri incontri quotidiani mi accostavo per salutarlo, come insegnante, il mio viso stretto dal suo affettuoso, prolungato abbraccio si comprimeva sul suo bianco scapolare e il mio naso s’inebriava del fresco profumo di bucato che emanava il suo abito, segno tangibile di quel suo stile unico e raffinato. Piccolo e magrolino, quale dovevo a lui apparire, amava stringermi con l’indice ed il pollice gli angoli della bocca, quasi volesse correggerne l’ampiezza che, probabilmente, riteneva sproporzionata al mio viso. Era un gesto ripetitivo e quotidiano, il suo, che ancora oggi a distanza di tanto tempo, ripeto da me, come se volessi richiamare la sua presenza. E’ difficile che un insegnante oltre a trasfondere il suo sapere lasci un segnale così tangibile. Padre Luigi Pintacuda aveva questa forza. Una forza che non scaturiva dal suo abito religioso, ma dalla sua qualità di uomo autentico, fatta di piccoli gesti quotidiani finalizzati a costruire un rapporto d’amore con chi gli stava accanto. Sapeva fare scalare ai propri discepoli l’albero magico della vita, autentica stella popolare, Egli, che insegnava conoscenza e valori, mescolandoli all’amore. Se un giorno San Pietro ( ammesso che lo incontri) mi dovesse chiedere chi vorrò incontrare per primo nell’Al di là gli sussurrerei, facendogli il segnale dell’indice verticale davanti al naso, perché i miei genitori non odano: “Padre Luigi Pintacuda”.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Scene di vita quotidiana
Lo dico a La Sicilia pubblicato il 15/01/2010
Non se a qualcuno è capitato di chiedere, in un paese poco conosciuto dove si trovi una certa via. Se a fornire le indicazioni sono molti, ognuno partecipa coralmente all’indicazione dell’informazione richiesta e ciascuno, com’è ovvio, fornisce ragguagli in base al proprio convincimento. Si sente il primo che consiglia di girare a sinistra, il secondo di andare a destra e il terzo di ritornare indietro, imboccando la rotonda che lo conduce più speditamente.
Le voci, com’è naturale, si sovrappongono e ad ogni precisazione si è costretti ad ascoltare ora il primo, ora il secondo interlocutore, annuendo di continuo, consapevole di non avere capito nulla riguardo alla direzione da prendere.
Più confuso che persuaso risalgo in auto, innesto la marcia, avendo cura di guardare nello specchietto retrovisore, con la speranza, senza essere visto, d’incontrare la persona giusta che mi possa meglio ragguagliare Breve sosta, veloce discesa del vetro del finestrino e la solita domanda: “ scusi, mi sa dire dov’è la via……….” “ Mi spiace, sono straniero”. Altra corsa, altra sosta, solita domanda, solita risposta : “ sono straniero”. A questo punto mi viene il dubbio di avere sbagliato nazione. Che fare? Ritornare al gruppo di prima equivale a confessare di non avere capito niente, continuare a girovagare non fa approdare a nulla. Ecco che la soluzione si appalesa improvvisa, quanto fortunosa: Un’auto dei VV. UU. s’intravede in lontananza. Un sospiro di sollievo mi rallegra il viso. “ Scusi mi sanno dire dov’è la via……. Risposta : “ Cerca qualcuno?” “Si, il sig, Cafiero”. “ Cafiero……, Cafiero!?. ribatte il vigile, rivolto al collega. Questi, di rimando: “ Vuoi vedere che cerca “stampafanciuli”, quello che si è separato dalla moglie, ha sei figli e non le da il mantenimento? Ci segua, andiamo proprio da lui a notificargli un avviso”.
“Che fortuna che “stampafanciulli” si sia separato dalla moglie, ha sei figli e non le dà il mantenimento”, penavo tra di me, mentre seguivo l’auto dei Vigili, Altrimenti, come avrei potuto trovare il sig, Cafiero?
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Non se a qualcuno è capitato di chiedere, in un paese poco conosciuto dove si trovi una certa via. Se a fornire le indicazioni sono molti, ognuno partecipa coralmente all’indicazione dell’informazione richiesta e ciascuno, com’è ovvio, fornisce ragguagli in base al proprio convincimento. Si sente il primo che consiglia di girare a sinistra, il secondo di andare a destra e il terzo di ritornare indietro, imboccando la rotonda che lo conduce più speditamente.
Le voci, com’è naturale, si sovrappongono e ad ogni precisazione si è costretti ad ascoltare ora il primo, ora il secondo interlocutore, annuendo di continuo, consapevole di non avere capito nulla riguardo alla direzione da prendere.
Più confuso che persuaso risalgo in auto, innesto la marcia, avendo cura di guardare nello specchietto retrovisore, con la speranza, senza essere visto, d’incontrare la persona giusta che mi possa meglio ragguagliare Breve sosta, veloce discesa del vetro del finestrino e la solita domanda: “ scusi, mi sa dire dov’è la via……….” “ Mi spiace, sono straniero”. Altra corsa, altra sosta, solita domanda, solita risposta : “ sono straniero”. A questo punto mi viene il dubbio di avere sbagliato nazione. Che fare? Ritornare al gruppo di prima equivale a confessare di non avere capito niente, continuare a girovagare non fa approdare a nulla. Ecco che la soluzione si appalesa improvvisa, quanto fortunosa: Un’auto dei VV. UU. s’intravede in lontananza. Un sospiro di sollievo mi rallegra il viso. “ Scusi mi sanno dire dov’è la via……. Risposta : “ Cerca qualcuno?” “Si, il sig, Cafiero”. “ Cafiero……, Cafiero!?. ribatte il vigile, rivolto al collega. Questi, di rimando: “ Vuoi vedere che cerca “stampafanciuli”, quello che si è separato dalla moglie, ha sei figli e non le da il mantenimento? Ci segua, andiamo proprio da lui a notificargli un avviso”.
“Che fortuna che “stampafanciulli” si sia separato dalla moglie, ha sei figli e non le dà il mantenimento”, penavo tra di me, mentre seguivo l’auto dei Vigili, Altrimenti, come avrei potuto trovare il sig, Cafiero?
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Reddito pro capite e camuffamento
Lo dico a La Sicilia pubblicato 06/01/2010
Leggendo la classifica del reddito degli italiani pubblicata dal Sole 24 Ore mi vengono “i vermi nello stomaco”. Non certo nell’apprendere che Catania è l’ultima in classifica, ma perchè questi dati sono frutto di un’ufficialità che non ha nulla a che vedere (per fortuna) con la realtà che abbiamo sotto gli occhi. Se dovessimo giudicare il reddito pro-capite dalle nefandezze che quotidianamente si vedono per le strade ( sporcizia, degrado, insicurezza), tali nefandezze bucano i nostri occhi e sotto questi aspetti la classifica del Sole 24 Ore appare persino blanda. Ma se parliamo di reddito pro capite le riserve sono numerose. Basta entrare in un qualsiasi negozio ed acquistare una qualche mercanzia, a cominciare dal pesce per finire al gioiello, la litania è sempre la stessa: “ Le posso rilasciare uno scontrino “leggermente” ridotto? Sa, con le tasse che ci affliggono non si può dichiarare tutto!” Quel “leggermente”, (che vale un buon 50 percento del prezzo realmente pagato) pronunziato sottovoce e con la grazia di chi chiede l’intercessione di Sant’ Agata, disarma qualunque avventore, che finisce, suo malgrado, di collaborare col fenomeno dell’evasione. E’ certamente riprovevole chi chiede e chi si presta ad un simile “gioco, che, in definitiva, finisce col danneggiare lo stesso” favoreggiatore”, ma a volte, un diniego non è facile per un’infinità di ragioni. Scagli la prima pietra chi non si è mai macchiato di un simile compiacente comportamento. Lo stesso esempio vale per l’artigiano o il professionista e in genere per chiunque ha in mano lo strumento della ricevuta o fattura da rilasciare. Il reddito che si denunzia con questo marchingegno pernicioso, diffuso e continuo non rispecchia la realtà o almeno l’altera profondamente.
A dovere credere alle classifiche del Sole 24 Ore dovremmo essere tutti con “!le pezze nel sedere”. Se ci guardiamo intorno, invece, ci accorgiamo che la gente veste con decoro, di solito griffata, gira col “sedere” comodamente assiso su sedili d’auto costose, le comodità in famiglia non mancano, anzi in qualche caso sono persino eccessive o superflue. Certo qualcosa manca: la moderazione!. In compenso abbiamo in abbondanza, la voglia atavica, ripetitiva, ossessiva di piangersi addosso, simulando chissà quali sventure e dissesti, ma sotto-sotto leccandoci i baffi per averla data da bere a chi crede nelle “finte” nostre dichiarate disgrazie. Saremo gli ultimi in classifica nella graduatoria del reddito pro capite, ma certamente i primi nell’arte del camuffamento. Che è quello, poi, che ci salva: si chiami galleggiamento o arte d’arranciarsi.
Linguaglossa 095/647245
Grazie Saro Pafumi
Leggendo la classifica del reddito degli italiani pubblicata dal Sole 24 Ore mi vengono “i vermi nello stomaco”. Non certo nell’apprendere che Catania è l’ultima in classifica, ma perchè questi dati sono frutto di un’ufficialità che non ha nulla a che vedere (per fortuna) con la realtà che abbiamo sotto gli occhi. Se dovessimo giudicare il reddito pro-capite dalle nefandezze che quotidianamente si vedono per le strade ( sporcizia, degrado, insicurezza), tali nefandezze bucano i nostri occhi e sotto questi aspetti la classifica del Sole 24 Ore appare persino blanda. Ma se parliamo di reddito pro capite le riserve sono numerose. Basta entrare in un qualsiasi negozio ed acquistare una qualche mercanzia, a cominciare dal pesce per finire al gioiello, la litania è sempre la stessa: “ Le posso rilasciare uno scontrino “leggermente” ridotto? Sa, con le tasse che ci affliggono non si può dichiarare tutto!” Quel “leggermente”, (che vale un buon 50 percento del prezzo realmente pagato) pronunziato sottovoce e con la grazia di chi chiede l’intercessione di Sant’ Agata, disarma qualunque avventore, che finisce, suo malgrado, di collaborare col fenomeno dell’evasione. E’ certamente riprovevole chi chiede e chi si presta ad un simile “gioco, che, in definitiva, finisce col danneggiare lo stesso” favoreggiatore”, ma a volte, un diniego non è facile per un’infinità di ragioni. Scagli la prima pietra chi non si è mai macchiato di un simile compiacente comportamento. Lo stesso esempio vale per l’artigiano o il professionista e in genere per chiunque ha in mano lo strumento della ricevuta o fattura da rilasciare. Il reddito che si denunzia con questo marchingegno pernicioso, diffuso e continuo non rispecchia la realtà o almeno l’altera profondamente.
A dovere credere alle classifiche del Sole 24 Ore dovremmo essere tutti con “!le pezze nel sedere”. Se ci guardiamo intorno, invece, ci accorgiamo che la gente veste con decoro, di solito griffata, gira col “sedere” comodamente assiso su sedili d’auto costose, le comodità in famiglia non mancano, anzi in qualche caso sono persino eccessive o superflue. Certo qualcosa manca: la moderazione!. In compenso abbiamo in abbondanza, la voglia atavica, ripetitiva, ossessiva di piangersi addosso, simulando chissà quali sventure e dissesti, ma sotto-sotto leccandoci i baffi per averla data da bere a chi crede nelle “finte” nostre dichiarate disgrazie. Saremo gli ultimi in classifica nella graduatoria del reddito pro capite, ma certamente i primi nell’arte del camuffamento. Che è quello, poi, che ci salva: si chiami galleggiamento o arte d’arranciarsi.
Linguaglossa 095/647245
Grazie Saro Pafumi
La neve ci ha colto di sorpresa
Lo dico a Lia Sicilia pubblicato 19/01/2010
“ La neve ci ha colto di sorpresa”. Una celebre frase pronunziata da un amministratore del tempo, rimasta memorabile a Linguaglossa, rivolta a chi gli chiedeva come mai i mezzi antineve non erano entrati in funzione, per consentire la viabilità sull’Etna nord, in occasione di una forte nevicata nel mese di GENNAIO.
“Dall’ingenuità possono nascere dei piccoli miracoli o anche delle grandi stronzate”, ebbe a scrivere F. De André. Il problema è che statisticamente i piccoli miracoli sono rari, mentre si moltiplicano a dismisura le stronzate. E’ ciò che puntualmente avviene nel versante Nord dell’Etna ogni qualvolta la prima neve fa la sua comparsa a Piano Provenzana.
Stavolta si è messa di mezzo pure la mancanza d’energia elettrica, nonostante l’Enel fosse stato avvertito che un palo di sostegno sarebbe caduto alla prima nevicata, cosa che puntualmente è avvenuto. A rendere difficoltoso raggiungere Piano Provenzana ci si mettono pure i numerosi turisti che vogliono raggiungere la località sciistica, senza catene a bordo, prontamente e giustamente bloccati dalla Polizia stradale per ragioni di sicurezza. La verità è, a mio parere, che noi siciliani con la montagna abbiamo un concetto del tutto avulso dalla realtà, forse perchè abituati a vivere a livello del mare. Basti vedere gli abbigliamenti poco adeguati con cui si affronta la montagna sia d’estate, sia d’inverno o “sorpresi”perchè la neve compaia a Gennaio, com’ebbe ad affermare, con una certa dose d’ingenuità, quell’amministratore tuttora ricordato nella storia del paese.
L’importante è “credere” come fanno gli operatori turistici che a prezzo di notevoli sacrifici vogliono dimostrare a se stesi e a gli altri che se la montagna si può domare più difficile è farlo con gli uomini.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
“ La neve ci ha colto di sorpresa”. Una celebre frase pronunziata da un amministratore del tempo, rimasta memorabile a Linguaglossa, rivolta a chi gli chiedeva come mai i mezzi antineve non erano entrati in funzione, per consentire la viabilità sull’Etna nord, in occasione di una forte nevicata nel mese di GENNAIO.
“Dall’ingenuità possono nascere dei piccoli miracoli o anche delle grandi stronzate”, ebbe a scrivere F. De André. Il problema è che statisticamente i piccoli miracoli sono rari, mentre si moltiplicano a dismisura le stronzate. E’ ciò che puntualmente avviene nel versante Nord dell’Etna ogni qualvolta la prima neve fa la sua comparsa a Piano Provenzana.
Stavolta si è messa di mezzo pure la mancanza d’energia elettrica, nonostante l’Enel fosse stato avvertito che un palo di sostegno sarebbe caduto alla prima nevicata, cosa che puntualmente è avvenuto. A rendere difficoltoso raggiungere Piano Provenzana ci si mettono pure i numerosi turisti che vogliono raggiungere la località sciistica, senza catene a bordo, prontamente e giustamente bloccati dalla Polizia stradale per ragioni di sicurezza. La verità è, a mio parere, che noi siciliani con la montagna abbiamo un concetto del tutto avulso dalla realtà, forse perchè abituati a vivere a livello del mare. Basti vedere gli abbigliamenti poco adeguati con cui si affronta la montagna sia d’estate, sia d’inverno o “sorpresi”perchè la neve compaia a Gennaio, com’ebbe ad affermare, con una certa dose d’ingenuità, quell’amministratore tuttora ricordato nella storia del paese.
L’importante è “credere” come fanno gli operatori turistici che a prezzo di notevoli sacrifici vogliono dimostrare a se stesi e a gli altri che se la montagna si può domare più difficile è farlo con gli uomini.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
La Chiesa e la clandestinità
Lo dico a La Sicilia pubblicato 17/01/2010
Tutte le volte che l’Italia respinge un gommone d’extracomunitari o fa una retata con l’intento di mandare i clandestini al loro paese d’origine, insorge l’opposizione e la Chiesa fa sentire la sua autorevole voce. Che l’opposizione faccia il suo mestiere lo trovo legittimo, che la Chiesa eserciti il suo ministero fatto di solidarietà e d’accoglienza altrettanto. Né potrebbe essere diversamente. Il problema è semmai di vedere se la Chiesa è coerente con se stessa e col suo operare. Uno Stato che rimanda indietro flotte di clandestini non lo fa certamente per xenofobia, piuttosto perché applica le norme che ha varato, giuste o sbagliate che siano. Non si può accogliere chiunque venga nel nostro paese, come non è giusto che vi rimanga chi non osserva le nostre regole. E’ il vivere civile che lo impone.
Veniamo alla Chiesa. Anch’essa ha norme che regolano la sua struttura e chiunque le infrange è sottoposto a sanzioni. Vi ricordate il caso del cardinale Milingo che voleva introdurre nell’ordinamento della Chiesa il matrimonio dei preti, convolando egli stesso a nozze?
Vi ricordate il caso del vescovo Lefebvre che non riconosceva le innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II, continuando a celebrare la Messa in latino, ordinando preti in totale disaccordo con le direttive della Chiesa? Entrambi prima sono stati convocati in Vaticano con quell’atteggiamento paternalistico e mieloso tipico della Chiesa che intende trattare, e, fallito il tentativo, messi alla porta, scomunicati e ridotti allo stato laicale, che se non equivale ad averli presi a calci nel sedere poco ci manca.
Lo sapevate altresì che ai divorziati non è consentito accostarsi al sacramento della comunione, né che si possono avere idee diverse sulla contraccezione e/o su argomenti vari che non siano quelli ufficiali della Chiesa, sanzionando chi non le osserva? Ciò che è consentito alla Chiesa, perché dovrebbe essere disconosciuto allo Stato? Con una differenza: le norme della Chiesa sono ferree ed inflessibili. Chiunque le contraddice si trova col sedere per terra. Quelle dello Stato sono elastiche, permissive, interpretabili, opinabili e molte volte persino disattese.
La clandestinità è un fenomeno sconosciuto alla Chiesa, perché prima di farne parte devi avere le carte in regola: Quando mancano o vengono meno, si esce dalla porta o dalla finestra, anche se questa è chiusa. Guai se non fosse così.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Tutte le volte che l’Italia respinge un gommone d’extracomunitari o fa una retata con l’intento di mandare i clandestini al loro paese d’origine, insorge l’opposizione e la Chiesa fa sentire la sua autorevole voce. Che l’opposizione faccia il suo mestiere lo trovo legittimo, che la Chiesa eserciti il suo ministero fatto di solidarietà e d’accoglienza altrettanto. Né potrebbe essere diversamente. Il problema è semmai di vedere se la Chiesa è coerente con se stessa e col suo operare. Uno Stato che rimanda indietro flotte di clandestini non lo fa certamente per xenofobia, piuttosto perché applica le norme che ha varato, giuste o sbagliate che siano. Non si può accogliere chiunque venga nel nostro paese, come non è giusto che vi rimanga chi non osserva le nostre regole. E’ il vivere civile che lo impone.
Veniamo alla Chiesa. Anch’essa ha norme che regolano la sua struttura e chiunque le infrange è sottoposto a sanzioni. Vi ricordate il caso del cardinale Milingo che voleva introdurre nell’ordinamento della Chiesa il matrimonio dei preti, convolando egli stesso a nozze?
Vi ricordate il caso del vescovo Lefebvre che non riconosceva le innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II, continuando a celebrare la Messa in latino, ordinando preti in totale disaccordo con le direttive della Chiesa? Entrambi prima sono stati convocati in Vaticano con quell’atteggiamento paternalistico e mieloso tipico della Chiesa che intende trattare, e, fallito il tentativo, messi alla porta, scomunicati e ridotti allo stato laicale, che se non equivale ad averli presi a calci nel sedere poco ci manca.
Lo sapevate altresì che ai divorziati non è consentito accostarsi al sacramento della comunione, né che si possono avere idee diverse sulla contraccezione e/o su argomenti vari che non siano quelli ufficiali della Chiesa, sanzionando chi non le osserva? Ciò che è consentito alla Chiesa, perché dovrebbe essere disconosciuto allo Stato? Con una differenza: le norme della Chiesa sono ferree ed inflessibili. Chiunque le contraddice si trova col sedere per terra. Quelle dello Stato sono elastiche, permissive, interpretabili, opinabili e molte volte persino disattese.
La clandestinità è un fenomeno sconosciuto alla Chiesa, perché prima di farne parte devi avere le carte in regola: Quando mancano o vengono meno, si esce dalla porta o dalla finestra, anche se questa è chiusa. Guai se non fosse così.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
I fatti di Rosarno
Lo dico a La Sicilia pubblicato 12/01/2010
Ciascuno di noi quando legge i giornali o ascolta la Tv. pensa, se pensa riflette, se riflette ragiona. Apprendendo quanto è successo a Rosarno, due fattori sono evidenti: 1) ci sono circa mille extracomunitari negri che sono sfruttati, 2) ci sono molti, troppi Enti che non fanno il proprio dovere. Stando ai fatti, solo ora, dopo anni, si scoprono le magagne di un sistema basato sullo sfruttamento e sull’indifferenza. Una piccola azienda che conosco ha subito nel corso di un anno ben quattro ispezioni dell’Inps per il controllo dell’unico dipendente. A Rosarno ben mille extracomunitari, con la faccia di cioccolato, ( riconoscibilissimi in una comunità di bianchi), hanno potuto essere sfruttati nella totale indifferenza di quanti avevano il dovere di controllare. La politica, i sindacati, che avevano il dovere di denunziare, dov’erano in tutti questi anni? Adesso, questi solerti censori alzano la gobba, digrignano i denti come davanti ad un pericolo inatteso, quanto sconosciuto.
“Mi faccino il piacere” direbbe Totò, Anziché ribellarsi, sproloquiare, strapparsi i capelli, si dessero quattro pugni in testa fino a farsi conficcare nella “capa” che l’idea della giustizia non ha colori politici ma è segno di civiltà che non può essere amministrato a corrente alternata o secondo le convenienze. Ecco, ragionandoci sopra trovo più disgustoso non chi sfrutta il prossimo, ma chi non combatte contro questo sfruttamento avendone il dovere, ammantandosi persino dell’aureola del perbenismo. Inps. Ispettorati, forze dell’ordine, sindacati e politica “ mi faccino il piacere!”.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Ciascuno di noi quando legge i giornali o ascolta la Tv. pensa, se pensa riflette, se riflette ragiona. Apprendendo quanto è successo a Rosarno, due fattori sono evidenti: 1) ci sono circa mille extracomunitari negri che sono sfruttati, 2) ci sono molti, troppi Enti che non fanno il proprio dovere. Stando ai fatti, solo ora, dopo anni, si scoprono le magagne di un sistema basato sullo sfruttamento e sull’indifferenza. Una piccola azienda che conosco ha subito nel corso di un anno ben quattro ispezioni dell’Inps per il controllo dell’unico dipendente. A Rosarno ben mille extracomunitari, con la faccia di cioccolato, ( riconoscibilissimi in una comunità di bianchi), hanno potuto essere sfruttati nella totale indifferenza di quanti avevano il dovere di controllare. La politica, i sindacati, che avevano il dovere di denunziare, dov’erano in tutti questi anni? Adesso, questi solerti censori alzano la gobba, digrignano i denti come davanti ad un pericolo inatteso, quanto sconosciuto.
“Mi faccino il piacere” direbbe Totò, Anziché ribellarsi, sproloquiare, strapparsi i capelli, si dessero quattro pugni in testa fino a farsi conficcare nella “capa” che l’idea della giustizia non ha colori politici ma è segno di civiltà che non può essere amministrato a corrente alternata o secondo le convenienze. Ecco, ragionandoci sopra trovo più disgustoso non chi sfrutta il prossimo, ma chi non combatte contro questo sfruttamento avendone il dovere, ammantandosi persino dell’aureola del perbenismo. Inps. Ispettorati, forze dell’ordine, sindacati e politica “ mi faccino il piacere!”.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Facebook e gli anziani
Lo dico a La Sicilia pubblicata 24.01.2010
Oggi l’amicizia non è più quel sentimento vero che si costruiva col tempo e nel tempo, fatto di legami solidi, personali e solidali. Oggi è “dialogo” che scorre su filo o naviga nell’etere tra persone sconosciute che tali rimangono. Un sms, una riga scritta su facebook o messenger nulla hanno in comune con la stretta di mano dalla cui intensità, un tempo, si poteva persino intuire il carattere di una persona. Quello che si costruisce oggi con i vari social network è un rapporto quale può occasionalmente nascere con un compagno di viaggio o con quello appena incontrato in coda alle Poste, con la differenza è che se hai voglia l’interlocutore lo trovi in tutte le ore del giorno e della notte.
Dell’interlocutore sai poco o nulla. A volte è una sagoma bianca che la fantasia colora col viso della Madonna o della monaca di Monza, di un Apollo o di un Quasimodo. “Il profilo” non è quello che tu “scopri” dell’altro, ma quello “addomesticato” di chi te lo “vende”. A lui non chiedi favori, come capita di fare con un vero amico, né condividi emozioni intime se non hai radici affettuose in comune, E’ uno “spogliarello” social network, graduale e vicendevole in cui ognuno, senza coinvolgimenti affettivi, scopre la sua natura, il suo carattere, le sue preferenze, le sue idee. Per usare una metafora è come un fiore cui manca il profumo.
Quella che si realizza tra i frequentatori di facebook é “conoscenza” dell’altro, desiderio di dialogo, voglia d’evasione, paura della solitudine; è una maniglia che ti consente di stare nell’etere del pensiero, di raggiungere mete lontane; é “l’ubiquità” dello spirito, del pensiero, della parola, dell’immagine, prerogativa di qualunque mortale… Un freddo miracolo della tecnologia, nulla di più.
Purtroppo, quello del facebook non è un mondo per anziani. Non è facile incontrare coetanei, compagni di scuola o d’infanzia con cui condividere pensieri, ricordi, emozioni. E’ come cercare un disperso in Russia o aggirarsi tra fantasmi. Smanettando s’incontrano carovane di giovani che parlano d’amore, di sesso, di baci, di sentimenti veri o fasulli, con i quali è difficile “condividere”. Manca l’approfondimento, l’analisi, il dibattito. C’è di mezzo uno steccato insormontabile che il tempo rende incolmabile. Uno steccato che riguarda non solo il modo di pensare, ma persino di esprimersi.
L'idioma non è quello che si è imparato a scuola, ma una terminologia astrusa. Si è costretti a zigzagare tra “link”, “commenti”, “gruppi” “elementi”, poke” “note” come se ci si trovasse nel mezzo di una giungla dove il procedere è cieco, le voci sono monosillabi e dittonghi e la punteggiatura è uno sciame d’insetti da evitare. Tre consonanti assemblate e un segno matematico inviate al proprio amoroso sono il surrogato della poesia “A Silvia”, il titolo di una canzone è il veicolo col quale viaggiano emozioni e sentimenti, la foto che talvolta si allega è “il pescato” rimasto imbrigliato navigando su internet
C’è poco o nulla d’autentico: i pensieri “degli altri” sono salvagente con cui galleggiare, stampelle con cui sorreggersi e “le citazioni d’autore” sono il condimento d’ogni dialogo.
D’autentico nel mondo di facebook c’è il ticchettio della tastiera del computer e il silenzio ovattato in cui dormono i pensieri o la fantasia che si confonde con le nuvole della notte.
Eppure, da un mondo così irreale talvolta può nascere l’inganno o l’amore.
Chissà se Dante scrivendo su facebook avrebbe messo in bocca a Francesca:: “ La bocca mi baciò tutto tremante.” oppure “ TV1KDB” che significa: “Ti voglio un casino di bene”.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Oggi l’amicizia non è più quel sentimento vero che si costruiva col tempo e nel tempo, fatto di legami solidi, personali e solidali. Oggi è “dialogo” che scorre su filo o naviga nell’etere tra persone sconosciute che tali rimangono. Un sms, una riga scritta su facebook o messenger nulla hanno in comune con la stretta di mano dalla cui intensità, un tempo, si poteva persino intuire il carattere di una persona. Quello che si costruisce oggi con i vari social network è un rapporto quale può occasionalmente nascere con un compagno di viaggio o con quello appena incontrato in coda alle Poste, con la differenza è che se hai voglia l’interlocutore lo trovi in tutte le ore del giorno e della notte.
Dell’interlocutore sai poco o nulla. A volte è una sagoma bianca che la fantasia colora col viso della Madonna o della monaca di Monza, di un Apollo o di un Quasimodo. “Il profilo” non è quello che tu “scopri” dell’altro, ma quello “addomesticato” di chi te lo “vende”. A lui non chiedi favori, come capita di fare con un vero amico, né condividi emozioni intime se non hai radici affettuose in comune, E’ uno “spogliarello” social network, graduale e vicendevole in cui ognuno, senza coinvolgimenti affettivi, scopre la sua natura, il suo carattere, le sue preferenze, le sue idee. Per usare una metafora è come un fiore cui manca il profumo.
Quella che si realizza tra i frequentatori di facebook é “conoscenza” dell’altro, desiderio di dialogo, voglia d’evasione, paura della solitudine; è una maniglia che ti consente di stare nell’etere del pensiero, di raggiungere mete lontane; é “l’ubiquità” dello spirito, del pensiero, della parola, dell’immagine, prerogativa di qualunque mortale… Un freddo miracolo della tecnologia, nulla di più.
Purtroppo, quello del facebook non è un mondo per anziani. Non è facile incontrare coetanei, compagni di scuola o d’infanzia con cui condividere pensieri, ricordi, emozioni. E’ come cercare un disperso in Russia o aggirarsi tra fantasmi. Smanettando s’incontrano carovane di giovani che parlano d’amore, di sesso, di baci, di sentimenti veri o fasulli, con i quali è difficile “condividere”. Manca l’approfondimento, l’analisi, il dibattito. C’è di mezzo uno steccato insormontabile che il tempo rende incolmabile. Uno steccato che riguarda non solo il modo di pensare, ma persino di esprimersi.
L'idioma non è quello che si è imparato a scuola, ma una terminologia astrusa. Si è costretti a zigzagare tra “link”, “commenti”, “gruppi” “elementi”, poke” “note” come se ci si trovasse nel mezzo di una giungla dove il procedere è cieco, le voci sono monosillabi e dittonghi e la punteggiatura è uno sciame d’insetti da evitare. Tre consonanti assemblate e un segno matematico inviate al proprio amoroso sono il surrogato della poesia “A Silvia”, il titolo di una canzone è il veicolo col quale viaggiano emozioni e sentimenti, la foto che talvolta si allega è “il pescato” rimasto imbrigliato navigando su internet
C’è poco o nulla d’autentico: i pensieri “degli altri” sono salvagente con cui galleggiare, stampelle con cui sorreggersi e “le citazioni d’autore” sono il condimento d’ogni dialogo.
D’autentico nel mondo di facebook c’è il ticchettio della tastiera del computer e il silenzio ovattato in cui dormono i pensieri o la fantasia che si confonde con le nuvole della notte.
Eppure, da un mondo così irreale talvolta può nascere l’inganno o l’amore.
Chissà se Dante scrivendo su facebook avrebbe messo in bocca a Francesca:: “ La bocca mi baciò tutto tremante.” oppure “ TV1KDB” che significa: “Ti voglio un casino di bene”.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Di Pietro, un politico sui generis
Lo dico a La Sicilia pubblicato 09/01/2010
“A me mi piace” direbbe Gigi Proietti reclamizzando una nota marca di caffé.
E a me mi piace Di Pietro come uomo politico, aggiungo di mio. Lo trovo ruspante come il pollo di campagna, genuino come il vino non adulterato, casereccio, come il pane cotto nel forno a legna. L’Italia ha bisogno d’uomini politici come Di Pietro, perché in realtà interpreta con la sua maschera teatrale una parte di noi che s’identifica con la natura più selvaggia. Anche il suo parlare è grezzo, come un pezzo di ferro che deve ancora essere forgiato. La sua stessa cultura è come un timballo di riso in cui ci trovi di tutto e tutto ci puoi aggiungere. E poi, confessiamolo, quanti di noi non hanno desiderato l’arresto di questo o quell’uomo politico, colto con le mani nella marmellata?
Che ci sia “un gendarme” in parlamento a presidio dell’onestà, dell’incorruttibilità, della correttezza lo trovo rassicurante. Egli è il rappresentante di tutte le minoranze: onesti, oppressi, diseredati, disoccupati, ignoranti (nel senso buono). scontenti. E’ la dimostrazione come in democrazia l’accesso alla politica è consentito a chiunque. E’ come un concorrente del Grande Fratello prestato alla politica, un naufrago dell’Isola dei famosi asceso in Parlamento, un vicino di casa che volente o nolente devi incontrare, un compagno di briscola da bar dello sport, un giocatore di calcio che puoi impiegare in tutti ruoli, arbitro compreso, un politico che usa la logica come Tarzan le liane, un acrobata che spinato, un personaggio che nel presepe può impersonare un Re magio o l’asinello, un incubo onirico se hai mangiato di pesante.
E’ tutto e di più! Che “c’azzecca” con la politica non l’ho ancora capito Lo vedo meglio come guardia carceraria.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
“A me mi piace” direbbe Gigi Proietti reclamizzando una nota marca di caffé.
E a me mi piace Di Pietro come uomo politico, aggiungo di mio. Lo trovo ruspante come il pollo di campagna, genuino come il vino non adulterato, casereccio, come il pane cotto nel forno a legna. L’Italia ha bisogno d’uomini politici come Di Pietro, perché in realtà interpreta con la sua maschera teatrale una parte di noi che s’identifica con la natura più selvaggia. Anche il suo parlare è grezzo, come un pezzo di ferro che deve ancora essere forgiato. La sua stessa cultura è come un timballo di riso in cui ci trovi di tutto e tutto ci puoi aggiungere. E poi, confessiamolo, quanti di noi non hanno desiderato l’arresto di questo o quell’uomo politico, colto con le mani nella marmellata?
Che ci sia “un gendarme” in parlamento a presidio dell’onestà, dell’incorruttibilità, della correttezza lo trovo rassicurante. Egli è il rappresentante di tutte le minoranze: onesti, oppressi, diseredati, disoccupati, ignoranti (nel senso buono). scontenti. E’ la dimostrazione come in democrazia l’accesso alla politica è consentito a chiunque. E’ come un concorrente del Grande Fratello prestato alla politica, un naufrago dell’Isola dei famosi asceso in Parlamento, un vicino di casa che volente o nolente devi incontrare, un compagno di briscola da bar dello sport, un giocatore di calcio che puoi impiegare in tutti ruoli, arbitro compreso, un politico che usa la logica come Tarzan le liane, un acrobata che spinato, un personaggio che nel presepe può impersonare un Re magio o l’asinello, un incubo onirico se hai mangiato di pesante.
E’ tutto e di più! Che “c’azzecca” con la politica non l’ho ancora capito Lo vedo meglio come guardia carceraria.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi
Berlusconi, una questione nazionale
Lo dico a La Sicilia pubblicato 25.01.2010
Per spiegare l’attuale politica fior di giornalisti hanno versato fiumi d’inchiostro. Cerchiamo di vedere come “può vedere” l’attuale momento storico un cittadino come tanti che non raggiunge le alte vette del sapere e analizza i fatti così come gli sono presentati dalla stampa.
Il tentativo che sta portando avanti la maggioranza è quello di liberare la politica dal dominio della magistratura. Per ottenere questo risultato il primo obiettivo è quello di evitare che Berlusconi sia processato. Da qui una serie d’iniziative parlamentari definite leggi “ad personam”. Se non si percorresse questa strada primaria, tra gli obiettivi della maggioranza, Berlusconi dovrebbe affrontare i processi a suo carico e in caso di una molto probabile condanna, dimettersi, aprendo la strada ad una crisi sociale senza precedenti. In una nazione civile dal clima sereno, economicamente solida, la caduta di un governo non sarebbe di per se una tragedia, ma nelle attuali condizioni politiche ed economiche una tragedia lo sarebbe veramente. Vale la pena di pervenire alla condanna di un singolo, sia pure investito di poteri istituzionali, per aprire una crisi dagli esiti incerti? I punti di scontro sull’argomento sono differenti, secondo gli interessii politici in campo. Un tempo, peraltro non molto remoto, esisteva l’immunità parlamentare che metteva il politico a riparo da iniziative giudiziarie. Poi l’istituto fu soppresso con un’operazione d’autocastrazione messa incautamente in atto dalla stessa politica. Oggi il Re è nudo, né c’è all’orizzonte una regola o un compromesso che salvaguardi il diritto della politica di agire.
Siamo perciò nelle mani del potere giudiziario che con le sue azioni detta, di fatto, l’agenda politica della nazione, Se non ci fosse di mezzo il solito Berlusconi con i suoi talloni d’Achille ( leggi: processi) e “l’odio” che consegue, la questione sarebbe stata da tempo risolta. Con la Magistratura che brandisce il suo potere come clava giudiziaria contro la politica, per alcuni la tentazione di servirsi di questo provvidenziale strumento non solo è opportuno ma persino provvidenziale. Oggi quel che conta è cingere d’assedio Berlusconi e la sua roccaforte. Poi, a bocce ferme, qualsiasi riforma sarà possibile, da quella costituzionale alle questioni economiche.
Ci possiamo permettere il lusso d’impiegare il nostro tempo per rincorrere problemi di giustizia personale, perdendo di vista le problematiche collettive, che sono molte?
Per raggiungere quest’ obiettivo è proprio necessario rimettersi nelle mani della magistratura? Personalmente preferisco essere governato dal peggiore dei politici che dal migliore dei giudici. Del primo poi liberartene, del secondo devi affidarti solo alla Provvidenza. .
Linguaglossa 095/647245
Grazie Saro Pafumi.
Per spiegare l’attuale politica fior di giornalisti hanno versato fiumi d’inchiostro. Cerchiamo di vedere come “può vedere” l’attuale momento storico un cittadino come tanti che non raggiunge le alte vette del sapere e analizza i fatti così come gli sono presentati dalla stampa.
Il tentativo che sta portando avanti la maggioranza è quello di liberare la politica dal dominio della magistratura. Per ottenere questo risultato il primo obiettivo è quello di evitare che Berlusconi sia processato. Da qui una serie d’iniziative parlamentari definite leggi “ad personam”. Se non si percorresse questa strada primaria, tra gli obiettivi della maggioranza, Berlusconi dovrebbe affrontare i processi a suo carico e in caso di una molto probabile condanna, dimettersi, aprendo la strada ad una crisi sociale senza precedenti. In una nazione civile dal clima sereno, economicamente solida, la caduta di un governo non sarebbe di per se una tragedia, ma nelle attuali condizioni politiche ed economiche una tragedia lo sarebbe veramente. Vale la pena di pervenire alla condanna di un singolo, sia pure investito di poteri istituzionali, per aprire una crisi dagli esiti incerti? I punti di scontro sull’argomento sono differenti, secondo gli interessii politici in campo. Un tempo, peraltro non molto remoto, esisteva l’immunità parlamentare che metteva il politico a riparo da iniziative giudiziarie. Poi l’istituto fu soppresso con un’operazione d’autocastrazione messa incautamente in atto dalla stessa politica. Oggi il Re è nudo, né c’è all’orizzonte una regola o un compromesso che salvaguardi il diritto della politica di agire.
Siamo perciò nelle mani del potere giudiziario che con le sue azioni detta, di fatto, l’agenda politica della nazione, Se non ci fosse di mezzo il solito Berlusconi con i suoi talloni d’Achille ( leggi: processi) e “l’odio” che consegue, la questione sarebbe stata da tempo risolta. Con la Magistratura che brandisce il suo potere come clava giudiziaria contro la politica, per alcuni la tentazione di servirsi di questo provvidenziale strumento non solo è opportuno ma persino provvidenziale. Oggi quel che conta è cingere d’assedio Berlusconi e la sua roccaforte. Poi, a bocce ferme, qualsiasi riforma sarà possibile, da quella costituzionale alle questioni economiche.
Ci possiamo permettere il lusso d’impiegare il nostro tempo per rincorrere problemi di giustizia personale, perdendo di vista le problematiche collettive, che sono molte?
Per raggiungere quest’ obiettivo è proprio necessario rimettersi nelle mani della magistratura? Personalmente preferisco essere governato dal peggiore dei politici che dal migliore dei giudici. Del primo poi liberartene, del secondo devi affidarti solo alla Provvidenza. .
Linguaglossa 095/647245
Grazie Saro Pafumi.
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