mercoledì 29 gennaio 2025

La famiglia tradizionale è cambiata ,frutto del progresso.

 

La famiglia tradizionale è cambiata,frutto del progresso.

 

La famiglia tradizionale, quella per intenderci con i nonni in casa e la mamma casalinga esiste solo nelle foto color seppia che qualcuno custodisce gelosamente sul comò di casa.

Oggi le case sono vuote già alle prime ore mattutine, perchè chi ha un lavoro è già sul posto e coloro che non ne hanno sono alla ricerca.

A casa è rimasta la Tv in stand by e la lavatrice col suo roteare ritmico e intermittente. Solo il gatto sonnecchia sul divano, unica presenza viva tra pareti sulle quali, sbiaditi raggi di sole stampano ombre di fantasmi.

I bambini sono parcheggiati da “ape maia” e quelli più grandetti, a tempo pieno attendono di consumare il rancio giornaliero, prima del ritorno a casa.

All’imbrunire lo sferragliare della serranda del garage segnala che qualcuno è arrivato. Nessuno che t’aspetti. Solo il gatto che ha sentito girare la chiave nella toppa abbandona la sua comoda lettiera per avere la sua lattina di carne e tonno Whiscas,

Col cappotto ancora sulle spalle la padrona accende la Tv. Risse, vocii, battibecchi riempiono di frastuono le stanze dove anche le suppellettili sembrano far parte della stessa bolgia.

Più tardi il pulmino comunale si ferma sotto casa svuotandosi poco alla volta della presenza dei più piccini. Un fugace bacio alla mamma che prepara per la sera, uno zainetto che vola sul sofà più vicino e di corsa al computer per trastullarsi con Nintendo, Wii, Mac, xbox o Internet e Facebook per i più grandi.

La Tv. diffonde notizie che nessuno ascolta, interrotta dai miagolii del gatto che gironzola solitario tra le stanze implorando che qualcuno l’ascolti.

Nessuno che parli, tutti intenti a smanettare sui tasti del computer o tra i fornelli della cucina. Quando il campanile della chiesa più vicina batte venti, secchi colpi è la volta del padre che fa ritorno a casa. Sprofonda sul divano, borbottando, afferra di scatto il telecomando, mentre il TG della sera trasmette le immagini dell’ennesimo corteo che tamburi in testa grida slogan contro il padrone di turno.

Attorno al desco familiare il silenzio è d’oro: ha inizio lo spettacolo della sera, intramezzato dal leggero tintinnio dei bicchieri o dal timido rumore delle posate sui piatti il cui contenuto nessuno guarda. Poi qualcuno alla chetichella lascia il suo posto a tavola per imboscarsi nel suo mondo virtuale. Anche il gatto, stanco di miagolare, ha ripreso a sonnecchiare sul suo divano preferito, segno che è finito un altro giorno.     Pubblicata oggi 27.01( come ogni lunedì) su La Sicilia.                                   

lunedì 20 gennaio 2025

L'Etna,la montagna,l mamma.

 

L’Etna, la montagna, la mamma

Bisogna nascere o viverci alle pendici dell’Etna, per capire l’amore profondo che l’uomo ha con la sua ‘montagna’. Noi valligiani chiamiamo “ mamma” l’Etna, che sovrasta i paesini etnei. A lei pensiamo, con la stessa devozione che è dovuta a una genitrice, con le gioie che comporta, quando è in salute e le apprensioni, quando, arrabbiata, erutta. Ogni mattina, quando inevitabilmente la guardiamo, godiamo solo a vederla, perché per noi la montagna non è solo neve o fuoco, ma contemplazione, spettacolo per il nostro spirito, ansia e speranza insieme. Nel linguaggio popolare parliamo di lei come di una persona viva, perché viva è la montagna per noi. Nessun mortale può avere, con le montagne che circondano il proprio paese, lo stesso amore che noi abbiamo  con la nostra ‘montagna’. Intanto perché è diversa da tutte le altre: cambia forma e aspetto nel tempo. Si direbbe che invecchia, senza perdere la sua giovanile vitalità e la sua bellezza, come avviene per una divinità, qual è stata considerata nell’antichità. Una sorte che a noi mortali non è consentita, giacché lentamente ci pieghiamo al volere del tempo.Fa rabbia vederla, a volte, calpestata e offesa, quasi derisa dall’azione dell’uomo, che non merita tanta bellezza. La sua reazione è quasi umana. sputa fuoco e diffonde tremori, per ricordarci che noi umani, siamo ben poca cosa di fronte alla Natura, che lei rappresenta Il suo profumo di resina, si diffonde tra le valli, fiocchi di neve si adagiano sul suo corpo che a noi, scolpito, appare. A gennaio, quando il vento fa una sosta e l’aria è cosparsa di bianco silenzio, un sorriso ci regala e la speranza di un’attesa. In primavera, liberate le sue membra dalla neve, ci regala cuscini di sogni ( astragalo, romice, saponaria. A sera stupiti e increduli la vediamo coperta da una coltre di stelle, come una corona azzurra che la trasforma in regina, circondata dalle sue ancelle:le bianche, danzanti betulle. Il silenzio che ci regala nelle alture è la voce della natura.Ci sembra di ascoltarla, adagiati su un cuscino di nuvole, con lo sguardo che si smarrisce nel lontano orizzonte blu. Pubblicata oggi 20.01.2025 su La Sicilia

martedì 14 gennaio 2025

Vita di paese

 

LO dico a La Sicilia pubblicata oggim 13.01.2025

Vita di paese.

La vita è dramma, tragedia, solitudine, lavoro quasi mai spensieratezza. Solo chi ha la fortuna di contare tante lune da impregnare i capelli del suo colore può dire di avere vissuto. Non importa come. È dal momento in cui s‘inizia a contare quel che rimane della vita, che il tempo svela il suo valore, non scandito dal prezziario delle ore. Con i remi in barca e l’acqua cheta, è l’ora in cui si può godere il beccheggio della vita o quello che di essa resta. Nei piccoli centri urbani dove il tempo è sensuale, come lo sciabordio del mare sulla battigia, il beccheggio diventa bivacco. Un modo di vivere per rubare al tempo la sua anima. Ogni comunità ha il suo luogo preferito: la scalinata della Chiesa dell’Annunziata, a Linguaglossa, con l’ombra amica del campanile accanto, dove il bisbiglio casareccio diventa l’Orecchio di Dionisio che trasmette in tutto il paese voci, ipotesi, sospetti, mormorii. Su quella scalinata si sono alternati personaggi d’ogni genere. Un tempo era il posto riservato agli emarginati, agli squattrinati, agli uomini con le scarpe chiodate, che si tenevano ben distinti dai nobili seduti al bar, quasi a configurare, con la chiesa alle spalle, la divisione dei ceti: clero, nobiltà e terzo Stato.  Oggi che la ruota della storia gira al contrario, la scalinata è vissuta alla’ bohemienne’, con disinvolta sciatteria, dove ciascuno proietta sugli altri il pensiero del momento e il nome del passante, con la sua storia, come un abito su misura, rimbalza di bocca in bocca, come la pallina di un ping-pong, perché, come insegna O. Wild, “per conoscere se stessi,bisogna sapere tutto degli altri”. Nella pigrizia di quei momenti il tempo restituisce ciò che ha rubato in giovinezza: la spensieratezza. Solo nei piccoli centri è possibile gustare questa realtà tra sogno e magia, tra ammiccamenti e parole non dette, pacche sulle spalle, strette di mano e arrivederci, quando non diventano addii. Talvolta è triste non rivedere l’amico che il giorno prima si sedeva accanto. Solo poche parole sull’amico scomparso, non per scarsa generosità, ma perché dei vicini (la morte) non si deve parlar male. Meglio il silenzio su quella scalinata ora che il campanile scandisce l’Ave Maria,e l’incontro tra amici diventa concedo, per ritrovarsi uniti il giorno dopo, se Dio vorrà, là, in quello stesso bivacco, un inconscio ritorno nel ventre materno. Saro Pafumi Linguaglossa 3299445290 Grazie 

martedì 7 gennaio 2025

Siamo entrati nell'era glaciale dei sentimenti

 Siamo entrati nell’era glaciale dei sentimenti. Pubblicata su La Sicilia 06.01.2025

Quando si parla di freddo, si pensa subito alla temperatura dell’ambiente, che si contrappone al caldo rovente dell’estate. C’è un’altra definizione di freddo, quella che riguarda il comportamento distaccato e talvolta glaciale delle persone e della società in generale. Uno stato d’animo d’angoscia e distaccato, nemmeno tanto nascosto, che sta diventando una vera malattia sociale, riducendo i rapporti umani, già ridotti a lumicino, e aprendo la via all’anaffettività, che affonda le radici nel vissuto dell’individuo, incapace di accogliere critiche, esperienze dolorose, difficoltà lavorative, instabilità affettiva, sia familiare sia amicale I primi sintomi erano evidenti già alla fine degli anni ottanta, con le tecnologie che avevano invaso il vivere civile. Con l’avvento del covid questa ‘patologia’ sociale ha subito una progressiva accelerazione. E’ avvenuto, nei sentimenti umani, ciò che metaforicamente può definirsi un testacoda, perdendo l’aderenza con la realtà, che fino allora regolava i rapporti sociali. Siamo prigionieri dei social, ai quali abbiamo consegnato corpo e mente e come una spugna assorbiamo tutte le amenità e minchionerie che ci propinano. Una nuova stagione glaciale, la più triste e subdola, che stavolta invade l’animo umano. Come se mancasse il sole che ci riscalda e la notte fosse una nera cupa oscurità senza stelle. Uscirne non è facile, anzi si prevede un impoverimento progressivo dei sentimenti, quel pessimismo cosmico tanto caro a Leopardi, che, come presago, aveva anticipato tanto tempo fa.

mercoledì 1 gennaio 2025

Il vischio. Un ramo augurale.

 

Il vischio. Un ramo augurale.

 

Tra le tante cose che ci ricordano la festa di capodanno, c’è il vischio, che per noi che abitiamo ai piedi dell’Etna rappresenta una pianta familiare e augurale. Una pianta parassita, perché senza l’albero padre non attecchisce e muore. Curioso è come nasce e si diffonde. Gli uccelli sono ghiotti delle sue bacche e da noi lo stornello è un vero cacciatore di questa pianta. Avviene, però, che le bacche per la loro vischiosità (da qui il nome di vischio), inghiottite, non siano facilmente digerite, per cui una volta defecate rimangono appiccicate all’orifizio terminale dell’intestino. Per disfarsene, il tordo (o altro uccello) stropiccia la parte posteriore del corpo sul tronco dell’albero, di solito, sull’Etna il pino laricio, cosicché il seme contenuto dentro la bacca, rimane affisso al tronco da cui germoglia fino a formare quel rametto che chiamiamo vischio. La pianta che attecchisce nei boschi è protetta, ma è ugualmente raccolta di frodo e venduta come pianta augurale. Sono molte le piante sacre che nel periodo delle festività natalizie decorano le case di tutto il Mondo: l’Agrifoglio, l’Abete, il pungitopo, la stella di Natale, ma il vischio le sovrasta tutte.

Scrive Plinio il Vecchio. “ Il vischio (che guarisce tutto) nasce sulle piante come inviato dal cielo, un segno che l’albero è stato scelto dalla divinità stessa. Peraltro è molto raro a trovarsi e quando è scoperto si raccoglie con grande devozione: innanzitutto al sesto giorno della luna e questo perché in tal giorno la luna ha già abbastanza forza. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull’albero, taglia il vischio con un falcetto d’oro e lo raccoglie in un panno bianco. Poi immolano le vittime, pregando il dio affinché renda il dono (il vischio) propizio a coloro ai quali lo hanno destinato”. Un bell’augurio per il Nuovo Anno.