martedì 26 ottobre 2010

Ricostruzione Piano Provenzana, uscire dall'ambiguità

Piano Provenzana, versante Nord dell’Etna, martoriato dagli eventi sismici del 2002, non riesce ad emergere dalle sue ceneri, nonostante gli sforzi compiuti dalle varie amministrazioni comunali. Leggo su La Sicilia del 25/10 di un’assemblea pubblica tenutasi a Linguaglossa tendente a fare chiarezza sull’argomento.
Di chiarezza, com’era da aspettarsi, nemmeno l’ombra, eccetto l’informazione data alla cittadinanza che l’impianto Coccinelle stenta a decollare perché si è in attesa, cosa peraltro risaputa, dell’autorizzazione regionale.
Poiché quello che si dice in privato, non è esternato in pubblico, proviamo a fare chiarezza sull’argomento, manifestando la nostra impressione, senza peli sulla lingua.
La questione, occorre ammetterlo, verte tutta sui rapporti tra l’amministrazione comunale e la STAR, concessionaria d’alcuni impianti di risalita.
Poiché per completare il programma degli impianti occorre realizzarne altri due, Anfiteatro e Monte Conca, l’intendimento della Star è di ottenere la concessione dei predetti due realizzandi impianti, in modo da assolvere in regime d’esclusiva l’impiantistica nel suo complesso.
Da un punto di vista di politica aziendale la pretesa della STAR, se questo è il suo intendimento, non fa una grinza. Il problema è che tale politica cozza con gli interessi di altri “presunti” operatori interessati a tali impianti ( Anfiteatro e Monte Conca) e con una certa opinione pubblica che non “digerisce” il regime di monopolio che istaurerebbe la STAR a Piano Provenzana, Società, peraltro, presente sul versante Sud dell’Etna.
Dicevo di “presunti” operatori, perché di essi nella realtà dei fatti, non c’é presenza alcuna, al di fuori delle solite chiacchiere che contribuiscono a creare più confusione di quanta ce ne sia.
Alla quasi generalità dell’opinione pubblica ed in particolare agli operatori commerciali di Linguaglossa interessa ben poco chi vorrà o dovrà realizzare e gestire gli impianti medesimi, se in esclusiva o meno, perchè quello che importa e il buon senso suggerisce è di realizzare gli impianti e di farli funzionare, perché indispensabile volano di sviluppo dell’economia linguaglossese.
Il nodo da sciogliere è pertanto tra l’amministrazione comunale e la STAR. Se non si esce da quest’ambiguità, agli eventi sismici si aggiungeranno le “calamità umane” ben peggiori dei primi, perché ingovernabili senza un minimo di ragionevolezza.
Pubblicato su La Sicilia il 26.10.2010
Saro Pafumi

venerdì 22 ottobre 2010

LA TV HA TOCCATO IL FONDO

Lo dico a La Sicilia

Diciamolo senza ipocrisie: la TV, è diventata un problema. Mi riferisco alle cronache giudiziarie che, mi si consenta il termine, sono diventate un’indecenza.
Capisco che esiste il telecomando, per cui se l’utente non vuole essere “ informato”, basta un clic e si passa oltre, ma quando tutte le emittenti sono contemporaneamente sintonizzate sullo stesso argomento non restano che i cartoni animati. Si parla tanto di diritto di cronaca. Che diritto di cronaca è assediare giorno e notte la casa di chi sta vivendo un trauma familiare come il caso Sarah Scazzi insegna? Oggi i processi non si celebrano nelle aule giudiziarie, ma in piazza, in Tv. con centinaia di collegamenti, domande, inchieste, prove, dibattiti, consulenze, previsioni, sentenze. Tanto vale abolire il processo penale, così come oggi è formulato, introdurre il voto popolare, come si fa al festival di San Remo e affidarsi “alla piazza” dove i protagonisti sono le vittime e i loro veri o presunti carnefici, le forze di polizia, i giornalisti assieme all’accozzaglia di consulenti e sapientoni che collaborano con loro e i giudici, il popolo. Una specie di Corte d’Assise pubblica dove la legge è amministrata “in nome del popolo” che è quello che si legge nelle aule giudiziarie. La verità è che la TV. come un animale famelico, si compiace dei casi criminosi, anzi ci guazza o meglio ci sguazza, gode, si compiace, perché è il suo pasto preferito. Eserciti di cameraman, d’inviati speciali sono sguinzagliati in ogni dove, persino sui lastrici solari pur di accaparrarsi una diretta televisiva. In queste condizioni la morbosità popolare cresce, i curiosi fanno carosello, il turismo macabro fa capolino e le TV straniere si nutrono anch’esse del truce spettacolo. In questi servizi televisivi abbondano le interviste idiote, come di chi chiede alla madre se ritiene che la figlia sia colpevole o ai genitori della vittima cosa sentono intimamente per la morte della figlia. C’è da rimanere allibiti che tutto questo bailamme possa definirsi informazione o diritto di cronaca. Si rimane stupefatti, altresì, di certe diagnosi di psicologia comportamentale come di chi vuol leggere la colpevolezza del responsabile a seconda se muove la spalla destra o quella sinistra, se si tocca i capelli o fa una smorfia che equivale ad una confessione. Ho timore che si sia arrivati ad un punto di non ritorno. Le prospettive non rose rosee Restiamo solo in attesa di toccare il fondo, ma temo che sia stato superato.
Pubblicato su La Sicilia il 23.10.2010
Saro Pafumi

giovedì 21 ottobre 2010

DUE MODI PER DIVERTIRSI

Ci sono due modi per divertirsi: rimanere incolonnati per due ore ai caselli stradali, com’è avvenuto domenica 17 corrente verso le ore 13 al casello di Giarre, in entrata ed uscita, per andare a vedere le ottobrate, le castagnate, e via discorrendo confondendosi fra la folla e pestandosi i piedi l’un l’altro, con la prospettiva di pranzare alle ore piccole per la delizia degli adulti e dei bambini o scegliere mete più serene dove potere respirare aria pulita, pace e tranquillità e magari gustando un buon piatto di specialità a prezzo contenuto, servizio compreso. La folla, si sa, non è mai foriera di servizi adeguati e la confusione quasi mai genera prodotti di qualità. Eppure quasi tutti ci strappiamo i capelli e facciamo follie pur di raggiungere mete turistiche che alla prova dei fatti lasciano il tempo che trovano.
Il turismo è fatto di persone che si muovono da un capo all’altro, ma quando tutti quanti ci muoviamo nello stesso momento e in direzione delle stesse mete il divertimento non è assicurato.
Forse il buon senso suggerirebbe di andare contro corrente, ma quanti siamo disposti a rinunziare al tam- tam del richiamo turistico? Le occasioni di divertimento non sono molte e quando sono annunziate non si vede l’ora di esserne coinvolti, salvo, poi, ad imprecare che la fila d’auto si muove a passo d’uomo. Importante è raggiungere la meta, costi, quel che costi. magari facendo ritorno a casa senza poterla raggiungere. L’importante non è arrivare ma partecipare alla follia collettiva, come in una specie di carosello in cui il divertimento non consiste nel godere stando fermo ma muovendosi a passo di tartaruga non importa se a bordo di un auto dalla quale, a volte è persino impossibile scendere.
Pubblicato su La Sicilia il 21/10/2010
Saro Pafumi

mercoledì 20 ottobre 2010

PERSONAGGI DI PAESE TRA REALTA' E LEGGENDA

Spesso nei racconti delle persone anziane si richiamano alla mente personaggi rimasti memorabili: per la bravura nei mestieri esercitati, per certe loro stravaganze, per le imprese portate a termine, per le caratteristiche fisiche o di carattere o più semplicemente per la carica di simpatia che li ha distinti. Sono piccole storie personali che ciascuno a volte condisce esaltandone il lato umoristico o quello umano. Di questi ricordi vive l’anziano, aggrappato più al suo passato che al presente. A Linguaglossa, nei racconti di “ personaggi e storie” sono pieni i ricordi.
Don Pippinu “cosci ‘i viulinu”, per le sue gambe arcuate, lunghe e sottili aveva un incedere molleggiato come se a posto delle ginocchia avesse due ammortizzatori. Egli è stato l’antesignano del lavoratore precario, alternando alla finta ricerca del lavoro la voglia di non trovarlo… Egli, per certi versi, è stato il vero interprete del sillogismo napoletano:: “il lavoro è una fatica, la fatica fa male, il male fa morire, perciò non lavoro”.
Don Pippinu “mazzola”, provetto barbiere, non usava le forbici, ma la macchinetta tosatrice, perché, ai suoi tempi, ll “pediculus humanus capitis”, volgarmente chiamato pidocchio della testa, si annidava spesso tra i capelli dei giovani. Poiché la macchinetta era quella che gli aveva lasciato in dote il padre, più che tagliare i capelli li strappava, tra le grida dei giovani che si servivano della sua maestria. Memorabile la sua prima notte di nozze con “ a ‘gna Santa carru-carru” Al momento di “consumare”, si racconta, si fece il segno della croce, recitando: “In nome di Dio e ‘ da ‘gna Santa” e la moglie di rimando: “ trentanove e tu quaranta”. Personaggio di rilievo per bravura nei calcoli don Giuvanni “ u liprinu”. Se gli dicevi di essere nato, per esempio, il 24 novembre del 1937, ti dava il tempo di contare fino a tre ed ecco la risposta: quel giorno, era un mercoledì. Memorabile la scommessa tra don Saru e don Matteu. Il secondo sosteneva di essere in grado di mangiare fino a cento arancini. Ad ottanta, buttò la spugna, ma ottanta arancini, a pensarci, sono “una montagna”.
Don Marianu “u scaricaturi” trasportava i barili di vino, a spalla, dalla cantina al piano di carico. Contava i bicchieri di vino che tracannava per ogni barile trasportato. A fine giornata chiuse il conto a 320. Donna Nina “a paparuni” stava accovacciata davanti all’uscio del suo ballatoio sia d’estate che d’inverno, Don Angiulu “ u carritteri”, un prete naturale e genuino come lo aveva fatto sua madre. Quando in groppa al suo asino andava in campagna era seguito da una frotta di giovani manigoldi che gli cantavano in coro: “ Patri donn’ Angiulu carritteri, orbu davanti e sciancatu d’arreri”. Seguiva da parte del malcapitato una giaculatoria di male parole da fare impallidire l’uomo più blasfeno. E poi ancora don Ninu “ sputracavaddi”, Peppi “ u piru”, donna Francisca “nicchi-nacchi”, Enna “ a babba” Carmina “a ciunca”, Peppi “ u surci”, “Babbi ‘i ciccia”, donna Rosa “a pisciara”, “a matarazara”, Turi “ menza cajella”, Ninu lapollu “ u vanniaturi” e tanti altri che ricordare riempirebbero quest’intera rubrica. Simpatici, indimenticabili personaggi di paese, ciascuno con la propria storia sulle spalle, tra realtà e leggenda, vivi ancora oggi nei ricordi.
Saro Pafumi

venerdì 15 ottobre 2010

IL MEA CULPA E IL GRIDO DISPERATO DI UN GENITORE

Mi verrebbe da gridare, con quanta forza ho nei polmoni, rivolto ai giovani: “ scappate via da questo paese”. Lo hanno fatto molto tempo fa i nostri padri, con la valigia legata con lo spago, rifatelo voi, anche senza valigia, pur di fuggire da quest’immobilismo che vi soffoca e ci soffoca. Non lasciatevi lusingare dalle promesse, perché in questo paese di promesse abbiamo piene le scatole, non lasciatevi irretire dalla speranza, perchè anche quest’ultimo baluardo è crollato. Affidatevi alla vostra intelligenza e guardatevi attorno. Vedrete le macerie di una società che stenta a credere in se stessa, una classe dirigente la cui unica risorsa è la propria sopravvivenza, una burocrazia divenuta un cancro incurabile. Provate a mettere un mattone sull’altro e al secondo tentativo c’è chi ostacola ogni vostra iniziativa. Se c’è un male che corrode noi stessi sono l’incertezza e l’attesa, il tempo speso per aspettare: uno spreco che ogni giovane non può permettersi di spendere perché ogni attimo che passa inutilmente è un attentato al suo entusiasmo e alla sua forza d’agire. La colpa di quest’immane disastro sociale è di noi genitori che abbiamo vissuto la nostra vita al di sopra delle nostre possibilità, dimenticando valori e godendo del presente . Abbiamo accumulato un debito economico gigantesco lasciato in eredità ai nostri figli che lo dovranno pagare. Come potranno, ammesso che n’abbiano voglia e tempo, se è negato loro il diritto di realizzarsi? Noi genitori siamo consapevoli dei nostri errori. Da qui la nostra arrendevolezza nell’educare, la voglia di assecondare ogni desiderio dei propri figli, la speranza di vederli felici, perché nell’inconscio siamo consapevoli del peso che abbiamo deposto sulle loro spalle. Poiché la situazione è irreversibile, chi può scappi in tempo, perché ogni giorno che passa è un lasso di tempo che non si recupera. C’è un tempo per essere speranzosi, un tempo per essere ottimisti, ma dinanzi all’incancrenirsi della realtà, chi rimane abbraccia solo il pessimismo. Scappate, giovani, per non farvi seppellire dalle macerie, per non soccombere alle avversità che noi genitori abbiamo irresponsabilmente contribuito a creare. La patria non è più il ristretto lembo di terra in cui si nasce, ma quello ben più ampio in cui si riesce a realizzarsi e a costruire il proprio futuro.
Pubblicato su La Sicilia il 16.10.2010 Saro Pafumi

martedì 12 ottobre 2010

QUEI DUE MATERASSI, NESSUNO ME LI PORTI VIA

Chi è stato l’inventore del Numero Verde deve meritarsi il premio Nobel, se non altro per il nobile intento di facilitare la vita del prossimo.
Il problema è che fatta l’invenzione si trova sempre il modo di neutralizzarla e “il verde” rimane solo il colore della speranza di chi si affida ad esso per un problema da risolvere. Com’è capitato con due materassi incautamente depositati dal solito fannullone maleducato davanti il cancello della mia abitazione. Ho provato a telefonare al numero verde per la rimozione, ma fino ad ora solo risposte evasive: Vedremo…..… a giorni…..riprovi a telefonare…..si sbrighi a indicare l’indirizzo perché il tempo a sua disposizione sta per scadere……… In conclusione i due materassi sono lì abbandonati da giorni a farmi compagnia. A forza di vederli all’uscita di casa e al mio rientro mi sono affezionato ad essi, immaginando i tanti ruoli che hanno avuto, la loro nascita, la giovinezza e l’abbandono. Ho immaginato le mani operose di chi li ha confezionati, l’entusiasmo della loro gioventù, l’avere assecondato il sonno di chi li ha posseduti, i tanti possibili gemiti amorosi da essi ascoltati, i soavi molleggiamenti assicurati a chi mai ha pensato alla loro muta sofferenza, la sofferta vecchiaia, infine l’abbandono. Ho smesso così di telefonare al numero verde, sperando che nessuno li rimuova Chissà quante altre emozioni mi faranno sentire essi, utili inanimati esseri, che un giorno fornirono morbidezza e delizia, oggi abbandonati, ma disposti a farmi compagnia, come ultima missione da svolgere.
Che nessuno me li porti via!
Pubblicato su La Sicilia il 12.10.2010
Saro Pafumi

martedì 5 ottobre 2010

IN CHE COSA CREDERE ?

In che cosa credere? E’ una domanda che ci poniamo da tempo sui valori che dovrebbero guidare la nostra vita quotidiana. Nella Chiesa? Dilaniata dai suoi stessi peccati, più volte imputata nell’amministrazione delle sue potenti leve finanziarie, incapace di dare una guida ai suoi fedeli con l’opera pastorale dei suoi ministri? Nella famiglia? Disgregata nella sua composizione affettiva, assente nell’educazione dei figli, in perenne difficoltà a superare gli ostacoli quotidiani, costretta ad arrancare, sperduta e smarrita alla ricerca di valori introvabili o precari, contingenti o discutibili? Nel lavoro? Divenuto una chimera, precario o insoddisfacente, anonimo o illegale, ricattabile o privilegiato? Nella scuola? Avvitata su se stessa, alla ricerca da decenni di un indirizzo culturale e persino di un assetto logistico umano e strumentale che fa acqua da tutte le parti? Nella giustizia? Disorganica e contraddittoria, arroccata nei suoi privilegi di casta, lenta, buonista e infruttuosa? Nello Stato? Perennemente impegnato con bilanci, manovre finanziarie, norme disorganiche, sorvegliato speciale dalla Comunità Europea, oberato dall’atavico divario tra Nord e Sud, in lotta continua con criminalità e malaffare, in bilico su se stesso, corroso al suo interno da atti di corruzione ripetuti ed interminabili? Nella politica? Non rappresentativa della volontà popolare, demagogica e populista, rissosa e inconcludente, incline alla delegittimazione dell’avversario, generatrice di partiti e movimenti personali?
In questa desolante visione della vita ciascuno coltiva il proprio essere tra le nebbie dei valori e lo sfilacciamento delle coscienze, senza una bussola che gli indichi un percorso umano e sociale in cui credere. Non scandalizza perciò l’esasperato egoismo imperante che c’è in noi stessi, reso ancor più sterile dalla ricerca di un materialismo come unica ragione di vita.
In questo deserto di valori “la quotidianità” del vivere resta l’unica via da percorrere. Siamo uomini senza tempo ed identità sospinti dall’inerzia, erranti e disattenti. Rimaniamo smarriti e protestiamo dinanzi alle avversità naturali, ma muti innanzi alla sismicità che percorre la nostra umanità. Forse è il caso di resettare tutto questo per iniziare a credere o ritrovare i valori smarriti, ammesso che se n’abbia voglia e tempo e si trovi una guida alla quale credere.
Pubblicato su La Sicilia il 06.10.2010
Saro Pafumi

venerdì 1 ottobre 2010

LA SOLITA PIZZA. CHE BARBA, CHE NOIA


Oggi trovare un lavoro è come fare tredici o vincere al superenalotto e così la fantasia galoppa alla ricerca di un’attività autonoma che possa assicurare un minimo di sostentamento economico. Le occasioni non sono molte e semplici e di solito abbastanza costose, perché l’apertura di un negozio comporta impegno, spese, competenza, ma soprattutto rischi, tanti rischi. In queste condizioni una delle attività più gettonate è l’apertura di una pizzeria e quasi sempre chi si avventura in quest’attività spesso lo fa senza avere le necessarie competenze, partendo dal presupposto che preparare una pizza è la cosa più semplice di questo mondo. Si pensa: che professionalità ci vuole ad impastare un po’ d’acqua e farina, condirla con pomodoro, mozzarella o qualche altro ben di Dio ed infornarla? Con queste premesse è pressoché impossibile gustare una vera pizza. Basta andare in giro e le delusioni si colgono a piene mani.
Non me ne vogliano i vari pizzicagnoli disseminati nella nostra isola, ma il paragone con quella ”doc”, “ la famosa Margherita, mady in Napoli, non ha confronti. La preparazione della pizza è un’arte tutta partenopea, in primo luogo per gli ingredienti che mancano del tutto dalle nostre parti: mozzarella di bufala, pomodoro san marzano, la stessa acqua ( famosa quella del Serino molto diffusa nel napoletano, caratterizzata da poco calcio), la temperatura del forno, la giusta lievitazione e per finire quella rara maestria che solo a Napoli è possibile trovare.
E dire che siamo veri maestri nel confezionare arancini, “crispeddi” e scacciata, quella per intenderci imbottita con tuma e acciughe.
In Sicilia con tutto questo ben di Dio, che altrove c’invidiano, ci ostiniamo a consumare “la solita pizza” che con gli ingredienti con i quali a volte è condita è più verosimilmente un vero pastrocchio che può raggiungere le 800 calorie. Se poi qualcuno, a notte fonda, è costretto a bivaccare perché la lievitazione della pizza avviene nella pancia chi lo va a dire al pizzicagnolo improvvisato che la giusta lievitazione sta alla base di un’ottima pizza?
Ma la “pizzamania” imperversa e con essa i vari modi di dire come “andiamoci a fare una pizza” la frase più gettonata dai giovani, ai quali mi verrebbe da chiedere: “ma voi la vera pizza la conoscete davvero?”
Pubblicato su La Sicilia il 01.10.2010
. Saro Pafumi