Linguaglossa, una
cornice senza quadro.
Linguaglossa sta vivendo un periodo di stasi. Appare, non per colpa di qualcuno, come una città reclusa, dove tutto è immobile. A voler parodiare uno dei tanti film Western, che la TP. ci propina, sembra una città, che precede una sparatoria o una rapina. Le strade si mostrano soleggiate e deserte, qualche refolo di vento trascina nuvole di polvere, una lanterna dondola sopra un negozio, col suo monotono, struggente cigolare e tutt’intorno silenzio, un silenzio d’attesa, in cui a dondolare è la vita tutta del paese. Così appare Linguaglossa, feriale o festiva, alle undici di un qualunque mattino. Sembra non un paese piacevolmente pianeggiante, qual è, ma un piano inclinato adagiato su una slavina, che sta precipitando a valle. I rari personaggi che si vedono sembrano comparse, finte persone, impegnate in finte attività. Un set cinematografico, in cui reali sono solo le strade, le case e il silenzio che lo avvolge. In questo scenario di poche ombre mi travesto da viandante e per le vie del paese mi trascino muto e silenzioso con la mia chitarra, cantando con Erica Mou “ Ieri ho sognato che mi baciavi e mi stringevi. Camminavamo, c’era il sole. Linguaglossa era vuota, muta come noi….” Dietro la sua facciata triste si nasconde un paese apparentemente normale, un fiume che, senz’ acqua, scorre, mi abbraccia e scompare, mi trascina sopra la tua carretta d’amore. Un paese che, nonostante tutto, non finisco d’amare.