Sindaci. Il dramma di sentirsi soli.
Ci siamo mai
calati nei panni di molti Sindaci, per capire le difficoltà che incontrano
nell’amministrare la cosa pubblica? Ora che il Sindaco, con l’elezione diretta,
sembra, di fatto, catapultato in una posizione di forza, alcuni elementi
contribuiscono a sfatare questa leggenda: il patto di stabilità, con le
conseguenze a essa connesse; la devoluzione della responsabilità amministrativa
in capo ai responsabili dirigenziali; la debole coesione politica, frutto della
scomparsa dei partiti e per ultimo, anche se non sempre, una certa
inadeguatezza del ruolo svolto da assessori e consiglieri. IL patto di
stabilità, significa sottrarre risorse, ossia diminuire o rinunziare a
determinati servizi; trasferire la responsabilità in capo ai dirigenti, se da
un lato lenisce quella dell’organo politico, di fatto, lo priva dl poteri
decisionali. Il primo a subire le conseguenze di queste limitazioni è il Capo
dell’Organo elettivo, il parafulmine di ogni insoddisfazione civica, poiché è
in capo ad egli, che si coagula il malcontento popolare. Ci sono, però, un paio
di altri elementi che rendono scottante la poltrona del Sindaco: la fragilità
di certe amministrazioni, condotte in regime di condominio politico, aggravata
dal “colore politico” di ciascun consigliere, che nella maggioranza dei casi,
in particolar modo nei piccoli comuni, è, portatore di un proprio interesse,
sganciato da ogni appartenenza polita, intesa nella vecchia accezione del
termine. Difficoltà economiche, debolezza politica, inadeguatezza operativa, e,
non ultimo, uno spiccato, molto diffuso
rilassamento del senso morale, sono gli ingredienti con i quali il Capo di
un’amministrazione comunale deve operare per il bene della collettività. Non è
improbabile che un Sindaco, in tal condizioni si senta, più che un Capo
politico, un capro espiatorio, con la sindrome della solitudine, e, talvolta,
vittima di un infruttuoso, quanto egoistico accerchiamento tattico. Saro Pafumi
FB 21.01.2015