domenica 21 luglio 2013

" L'arte" di liberarsi dei rifiuti

In un modo o nell’altro questa benedetta spazzatura bisogna pur smaltirla. Raramente il servizio di raccolta funziona e così ciascuno ha un proprio modo di disfarsene. La fantasia non manca in queste circostanze, perché la sola visione del nero sacchetto, che puzzolente dev’essere, non invita a positive considerazioni. In primo luogo perché al suo interno ci sono i resti del nostro smodato consumismo, che troppo spesso si tramuta in odiosa obesità, o il necessario frutto dei nostri sacrifici quotidiani, che si dissolvono in spregevoli, effimeri rifiuti. Occorre disfarsene, ma la celerità del desiderio del suo smaltimento è inversamente proporzionale al servizio di raccolta. Dalla necessità di stare meglio e progredire o qualche volta, purtroppo, di regredire, nascono le idee. Ciascuno ha il proprio metodo collaudato e ripetitivo. C’è chi deposita il sacchetto vicino alla porta del condomino accanto, anziché alla propria, quasi a volerne marcare la distanza; c’è chi lo porta con sé in auto e alla prima curva , non visto, lo lancia dal finestrino verso una destinazione sconosciuta, come un’offerta d’aiuto verso chi soffre, conservando l’anonimato; c’è chi ha un preciso obiettivo, un personale centro di raccolta alla periferia cittadina che col tempo si trasforma in discarica collettiva; c’è chi da buon samaritano lo offre all’inconsapevole contadino di campagna, perché i frutti del suo fondo abbiano il fecondo apporto del suo spontaneo contributo; c’è chi amante degli animali preferisce che il sacchetto col suo contenuto abbia una funzione evangelica: sfamare gli affamati, c’è, infine, chi tradisce il suo odio verso l’effimero, l’inutile, l’inservibile, sfoggiando tutta la sua crudeltà: “L’impiccagione” del sacchetto alla ringhiera del balcone, dove per giorni “il messaggio penzolante” che si vuol dare è la metafora dell’inefficienza, dell’abbandono. Un’espressione artistica molto ricercata dai turisti, che nella sua fredda rappresentazione scorgono una new body art popolare dai variopinti colori, perché ciascuno in questa rappresentazione immateriale v’inserisce un proprio stile, dal tipo di corda , al colore del sacchetto, dal tipo di nodo, all’olezzo che caratterizza i gusti familiari. Ma quel nero sacchetto, più di tutti, rappresenta il nostro modo di essere , di vivere, di agire, forse la nostra stessa coscienza sporca, che si cerca di cacciare il più lontano possibile, che inesorabilmente ci torna in faccia o ci pende sul capo. Inesorabilmente, perennemente come la nostra inciviltà che ci marchia a sangue. Pubblicata su La Sicilia il 21.07.2013.Saro Pafumi

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