Se gli italiani andassero oggi a votare credo che troverebbero i seggi aperti solo nei manicomi, tale la confusione che regna in politica. Non passa giorno senza che i maggiorenti politici d’ogni ordine e grado non smentiscano quanto detto il giorno precedente. E’ tutto un rincorrere di politici che inseguono se stessi, con contorcimenti argomentativi che rasentano la follia. Governo tecnico, governo di transizione, governo di salvezza nazionale, governo istituzionale, governo d’armistizio, governo di responsabilità, governo dimissionario, governo pro-tempore berlusconi bis, divorzi politici, alleanze improprie o contro natura, e ammucchiate varie gli scenari possibili. Poi ci sono le dichiarazioni fresche, come le uova di giornata di Montezemolo che parla di “chiusura di un ciclo” e di Cinepanettone assumendosi l’impegno con la sua Fondazione Italia Futura di “aiutare i giovani a venire fuori”, lanciando la quarta campagna “contro la disoccupazione giovanile” ( le prime tre che fine hanno fatto?), mentre la Fiat trasferisce una parte dei suoi stabilimenti in Serbia. Poi ci sono le liti tra donne della politica, nei cui linguaggi affiorano epiteti che si possono sentire solo nei vicoli di Toledo a Napoli. Tra spazzatura non raccolta, arresti a pioggia, escort varie. processi in Tv. omicidi in diretta, intercettazioni pruriginose, segreto istruttorio farsa, economia che ristagna, sviluppo che non decolla, rivendicazioni varie, debito pubblico alle stelle, il popolo arranca e attende. Attende sopratutto che siano spazzate le città, ma anche i piccoli comuni dell’’immondizia che regna sovrana, ma attende sopratutto che con l’immondizia i compattatori portino via pure questa classe politica che infesta il paese.
Unica nota positiva, in mezzo a questo bailamme, quel 40 percento d’Italiani che secondo certe statistiche ha rinunziato a votare. Ma è sempre una minoranza, rappresentativa di quella parte sana del paese che non conta, ma resta la migliore.
Pubblicato il 30/11/2010
Saro Pafumi
lunedì 29 novembre 2010
domenica 28 novembre 2010
Linguaglossa e le sue palme morte
Chi nasce e vive in un piccolo paese, cresce assieme ad esso, quasi in simbiosi. Conosciamo di esso ogni angolo, ogni brandello remoto. Sappiamo per esempio, che girato un dato angolo, un generoso cespuglio di gelsomino, messo a dimora da mani sconosciute, ci donerà il suo profumo. Riconosciamo il suono delle campane delle chiese come fossero le voci dei nostri parenti. Ricordiamo le buche nei marciapiedi o le insidie di una mattonella smossa come se camminassimo sul pavimento di casa nostra. Degli alberi che adornano le strade conosciamo i nomi, sappiamo quali mani li hanno piantati, l’epoca della messa a dimora, la fioritura, come fossero figli nostri. Conosciamo, purtroppo, anche le piaghe che l’incuria ha arrecato al territorio, come fossero ferite inferte al nostro corpo. Il nostro paese è una seconda pelle cucita addosso che vive e muore con noi In quest’ultimi tempi alcune calamità hanno sfregiato il nostro habitat, non imputabili all’incuria umana, ma purtroppo all’inclemenza della natura. Parlo del “punteruolo rosso” che ha devastato le palme delle nostre piazze. Alzare lo sguardo e non vederle è come non incontrare più l’amico di sempre. Una presenza muta, quella degli alberi, che ci accompagna per un’intera vita, all’ombra della quale quotidianamente ci s’incontra, si chiacchiera e talvolta ci s’innamora.
Il vuoto che questi alberi secolari hanno lasciato, morendo, non è solo un lembo di terra che ha smesso di respirare, ma una parte di noi che ha cessato di vivere, talvolta persino un sostegno amico venuto a mancare. Un paese senza i suoi alberi secolari è un paese senza memoria, un corpo monco dei suoi organi vitali. Sconosco quali siano i progetti dell’amministrazione comunale per sopperire alla loro mancanza, ma mi auguro che menti pietose stiano immaginando come riempire il vuoto lasciato. Il desiderio di tutti è rivedere irte e superbe le nostre palme ( punteruolo permettendo) come se la loro morte fosse stata un brutto sogno. O immaginare come nelle favole che il loro sacrificio servirà all’intera comunità linguaglossese per adoperarsi con un piccolo sforzo economico per la loro rinascita. In fondo le palme, quelle palme sono ancora vive nei nostri cuori.
Pubblicato su La Sicilia il 29/11/2010
Saro Pafumi
giovedì 25 novembre 2010
Piano Provenzana, tra giochi, ripensamenti e tentennamenti
Ho letto la lettera del Presidente della Star pubblicata su questa rubrica il 21 corrente che, nell’intento dell’estensore, “doveva” fare chiarezza sul ritardo degli impianti a Piano Provenzana. L’unica chiarezza che affiora dalla lettera è la certezza che quest’anno non si scia. Nulla che non si sapesse. I motivi del ritardo? La solita burocrazia. Ormai, quello della burocrazia è un refrain che si porta cucito addosso come un vestito Questa verità di facciata, confessiamolo, non convince nessuno: non gli stessi attori o protagonisti della ricostruzione ( Enti, Comuni, Società, privati interessati), né la popolazione di Linguaglossa e ancor di più quell' innumerevole schiera d’appassionati, operatori turistici e commerciali che sperano nella montagna. Otto anni sono trascorsi dagli eventi calamitosi del 2002: un’eternità! Risultato: la neve continua a cadere candida coprendo il nulla. Otto anno sono trascorsi: le carte continuano a svolazzare tra un Ufficio e l’altro, come foglie morte sospinte dal vento dell’incuria. Otto anni sono trascorsi: i fatti sono parole; le idee, speranze; le promesse, lusinghe. In una mia pubblicata sull’argomento avevo scritto: Uscire dall’ambiguità. Il messaggio non è stato accolto, né poteva esserlo, perché giocare a carte scoperte non è diplomatico. Nella ricostruzione di Piano Provenzana, perciò, ha fatto capolino il politichese, il, messaggio cifrato o se volete il gioco del cerino. Di questo si tratta.
“La ricostruzione” è diventato un gioco. Tra temporeggiamenti, rimbalzi, ricatti, tentennamenti, interessi, economia e politica “la burocrazia” è uno jolly che ciascuno spende al momento opportuno. La burocrazia non è solo pedanteria delle forme, eccesso di potere; è anche tattica, temporeggiamento, sfiancamento, che in gergo militare si definisce “guerra di logoramento”. Nella ricostruzione di Piano Provenzana “le parti” si fronteggiano. E mentre “le parti” si studiano, il tempo passa. Intanto, l’Etna ribolle nervosamente. Delusa delle defatiganti azioni umane o perché smaniosa di colpire chi la priva del richiamo del suo fascino?
Attenti, operatori, promotori, attori e registi di questa ricostruzione-farsa: non giocate con i tempi perché l’Etna ha i suoi cicli, ed è imprevedibile. Se passa troppo tempo dalla progettata ricostruzione, un suo risveglio non è detto che non azzeri anche la speranza. Sono trascorsi otto anni: un’eternità. Il vulcano, intanto, rumoreggia. Sono segnali di pace o di guerra?
Pubblicato su La Sicilia il 25/11/2010
Saro Pafumi
“La ricostruzione” è diventato un gioco. Tra temporeggiamenti, rimbalzi, ricatti, tentennamenti, interessi, economia e politica “la burocrazia” è uno jolly che ciascuno spende al momento opportuno. La burocrazia non è solo pedanteria delle forme, eccesso di potere; è anche tattica, temporeggiamento, sfiancamento, che in gergo militare si definisce “guerra di logoramento”. Nella ricostruzione di Piano Provenzana “le parti” si fronteggiano. E mentre “le parti” si studiano, il tempo passa. Intanto, l’Etna ribolle nervosamente. Delusa delle defatiganti azioni umane o perché smaniosa di colpire chi la priva del richiamo del suo fascino?
Attenti, operatori, promotori, attori e registi di questa ricostruzione-farsa: non giocate con i tempi perché l’Etna ha i suoi cicli, ed è imprevedibile. Se passa troppo tempo dalla progettata ricostruzione, un suo risveglio non è detto che non azzeri anche la speranza. Sono trascorsi otto anni: un’eternità. Il vulcano, intanto, rumoreggia. Sono segnali di pace o di guerra?
Pubblicato su La Sicilia il 25/11/2010
Saro Pafumi
martedì 23 novembre 2010
Dialogo in vernacolo
Turi cicireddu: ”Ah unni ha statu, cca javi ‘nseculu cca nun ti vidu?”
Iaffiu micciusu: “ O spitali, a farimi l’analisi ppi l’ucciola”.
Turi cicireddu: “ Nun mi ni parrari. A mei si scassau e sugnu a dritta ppi miraculu. Nun bastava! Mi truvaru puri a cròstata ‘ngrussata. Menu mali cca c’è a tassa muta e ’ncasu d’operazioni nun paiu nenti”.
Iaffiu micciusu: “Tu si furtunatu, picchì tra marricchi e marracchi, nesci sempri a galla. Iù cca scusa cca me mogghieri travagghia a muntagna haia a pajari u tricchiti”.
Ci vuleva, poi, puri me figghiu, Pi curpa cca ci mancunu quattru diatribbi e iavi un occhiu muratu ci abbisognunu l’ucchiali” Unu, ppi vadagnari, cca fari, avi a scippari chiova chi renti?”
Arazziu, occhi i siccia: “Distrubbu?”
Turi cicireddu e Iaffiu micciusu: “ Ppi nenti, Trasiti! A porta è aperta. Ni stammu cuntannu i lastimi.
Arazziu, occhi i siccia: “Ccu pirmissu. Aspettati però cca pigghiu ciatu, picchì’ ccu tutta a ciculatta cca mi manna me figghiu da Sghizzira mi vinni u ‘nzurtu o cori.”.
Turi cicireddu: “Nun mi diciti, parranno ccu crianza, cca aviti puru vui u pulisterolu iavutu, picchì si ‘nta stu mumentu ci pigghia a tutti i tri ‘na malosorti subbitania, u centudiciatottu ccu carrellu ancora l’hannu ‘nvintari”.
Saro Pafumi
Iaffiu micciusu: “ O spitali, a farimi l’analisi ppi l’ucciola”.
Turi cicireddu: “ Nun mi ni parrari. A mei si scassau e sugnu a dritta ppi miraculu. Nun bastava! Mi truvaru puri a cròstata ‘ngrussata. Menu mali cca c’è a tassa muta e ’ncasu d’operazioni nun paiu nenti”.
Iaffiu micciusu: “Tu si furtunatu, picchì tra marricchi e marracchi, nesci sempri a galla. Iù cca scusa cca me mogghieri travagghia a muntagna haia a pajari u tricchiti”.
Ci vuleva, poi, puri me figghiu, Pi curpa cca ci mancunu quattru diatribbi e iavi un occhiu muratu ci abbisognunu l’ucchiali” Unu, ppi vadagnari, cca fari, avi a scippari chiova chi renti?”
Arazziu, occhi i siccia: “Distrubbu?”
Turi cicireddu e Iaffiu micciusu: “ Ppi nenti, Trasiti! A porta è aperta. Ni stammu cuntannu i lastimi.
Arazziu, occhi i siccia: “Ccu pirmissu. Aspettati però cca pigghiu ciatu, picchì’ ccu tutta a ciculatta cca mi manna me figghiu da Sghizzira mi vinni u ‘nzurtu o cori.”.
Turi cicireddu: “Nun mi diciti, parranno ccu crianza, cca aviti puru vui u pulisterolu iavutu, picchì si ‘nta stu mumentu ci pigghia a tutti i tri ‘na malosorti subbitania, u centudiciatottu ccu carrellu ancora l’hannu ‘nvintari”.
Saro Pafumi
giovedì 18 novembre 2010
Come ci vede un amico brasiliano
Feci passare due anni da quando l’avevo conosciuto, poi gli chiesi a bruciapelo:” Come ti trovi nel nostro paese?”. Il mio amico brasiliano mi guardò, poi dopo una breve pausa, come chi avesse bisogno di raccogliere i pochi disordinati pensieri, mi rispose: “ Ho la pancia piena, ma la testa confusa” Poi come un fiume in piena, di cui si sono rotti gli argini, mi elencò le sue certezze e le sue ansie. “Vedi”, proseguì, “la prima cosa che mi saltò agli occhi arrivando in Italia è che tutti portate l’orologio al polso. Da noi non c’è bisogno, perché il tempo non si misura in ore, minuti, secondi, ma in mesi, settimane tutto al più in giorni. Qui da voi il tempo è come da noi il cibo, si corre appresso cercando di acchiapparlo. Ma non so se lascia più morti per terra la fame o la fretta. Da voi il cibo si butta, da noi si raccatta. La seconda cosa che mi ha colpito? L’espressione del vostro viso. Avete tutto, ma vi manca la felicità e si vede. Noi, al contrario, non abbiamo quasi niente ma la felicità sprizza da tutti i pori. Canti e balli sono per noi il pane dell’anima; qui, da voi non ho percepito dove sta l’essenza del divertimento”.
“ Di cosa hai più nostalgia: della tua città, della famiglia, degli amici?” gli domandai, quasi volessi dargli la possibilità di riprender fiato. “ A bola”, mi rispose, con disarmante naturalezza. Il pallone, si sa, per i brasiliani è come il pane per gli affamati o l’eucaristia per i credenti, ma anteporlo a certi valori per noi è una bestemmia.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda”. lo incalzai, cercando di capire se l’Italia era per lui una seconda patria.
“Eu respondo com um proverbio de nos antepassados: Se a vida the der um limao, faca dele uma cairpiriha” (Se la vita di dà un limone fallo diventare un cocktail). Lo salutai con una pacca sulla spalla, senza capire se l’augurio era rivolto a lui, a me o ad entrambi.
Pubblicato su La Sicilia il 18.11.2010
Saro Pafumi
“ Di cosa hai più nostalgia: della tua città, della famiglia, degli amici?” gli domandai, quasi volessi dargli la possibilità di riprender fiato. “ A bola”, mi rispose, con disarmante naturalezza. Il pallone, si sa, per i brasiliani è come il pane per gli affamati o l’eucaristia per i credenti, ma anteporlo a certi valori per noi è una bestemmia.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda”. lo incalzai, cercando di capire se l’Italia era per lui una seconda patria.
“Eu respondo com um proverbio de nos antepassados: Se a vida the der um limao, faca dele uma cairpiriha” (Se la vita di dà un limone fallo diventare un cocktail). Lo salutai con una pacca sulla spalla, senza capire se l’augurio era rivolto a lui, a me o ad entrambi.
Pubblicato su La Sicilia il 18.11.2010
Saro Pafumi
domenica 14 novembre 2010
Il vacanziere domenicale a "sbafo"
Il marito:“ Ah mogghi! dumani abbessa i picciriddi ca ninni jemmu a cogghiri quattru coccia ‘i castagni”.
La moglie: “ E unni?, oh maritu!
Il marito: “Unni jemmu l’annu scorsu, ‘ndo zu stranu. Anzi, nun ti scurdari ‘i purtari ‘na triina ‘i burzi””
Questo, pressappoco, il programma del sabato sera di una coppia tipo per trascorrere la mattinata della domenica successiva. “ U zu stranu” per chi non lo sapesse è un parente immaginario, una specie di benefattore anonimo che ha la sventura di possedere un terreno coltivato e con un bell’albero di castagne della qualità “ marrone” che attira l’interesse del vacanziere domenicale, così detto “a sbafo”.
Se il proprietario dovesse per buona o mala sorte imbattersi in lui, la sua sfrontatezza non ha limiti: “tri burzi ‘i castagni” a sentir lui, sono: “ quattru coccia, pi picciriddi ca si passunu u tempu” . Guai a far scivolare il discorso sul serio o minaccioso com’è accaduto ad un mio amico che si è sentito chiedere il certificato catastale, il titolo di proprietà e la carta d’identità come farebbe un poliziotto che ti chiede: libretto e patente.
La presenza del vacanziere domenicale a sbafo è più diffusa di quanto si possa immaginare.
In genere è un tizio sicuro di sé che parte da casa, con famiglia a seguito, alla ricerca di un passatempo che non deve costare nulla, o per trascorre una giornata senza spendere il becco di un euro. Le strategie sono risapute, ma è sull’elemento della sorpresa che fa affidamento. In un bar, per esempio, approfitta della confusione, ordina con decisione, consuma e al momento di pagare sgattaiola con nonchalance. Se l’esercente dovesse accorgersi, puoi giurarci che la risposta è: “ Scusassi, ma non pajau me mogghi? Oppure ” Scusassi, ma non paiau me maritu?” Secondo ruoli e accordi ben definiti, collaudati dall’esperienza.
In qualche posto c’è scritto: “ Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione…..” Non so se per dimenticanza o deliberatamente non si fa riferimento ai dialetti.
Forse è in questo elemento fonico- linguistico che esistono le differenze?
Pubblicato su La Sicilia il 15.11.2010
Saro Pafumi
La moglie: “ E unni?, oh maritu!
Il marito: “Unni jemmu l’annu scorsu, ‘ndo zu stranu. Anzi, nun ti scurdari ‘i purtari ‘na triina ‘i burzi””
Questo, pressappoco, il programma del sabato sera di una coppia tipo per trascorrere la mattinata della domenica successiva. “ U zu stranu” per chi non lo sapesse è un parente immaginario, una specie di benefattore anonimo che ha la sventura di possedere un terreno coltivato e con un bell’albero di castagne della qualità “ marrone” che attira l’interesse del vacanziere domenicale, così detto “a sbafo”.
Se il proprietario dovesse per buona o mala sorte imbattersi in lui, la sua sfrontatezza non ha limiti: “tri burzi ‘i castagni” a sentir lui, sono: “ quattru coccia, pi picciriddi ca si passunu u tempu” . Guai a far scivolare il discorso sul serio o minaccioso com’è accaduto ad un mio amico che si è sentito chiedere il certificato catastale, il titolo di proprietà e la carta d’identità come farebbe un poliziotto che ti chiede: libretto e patente.
La presenza del vacanziere domenicale a sbafo è più diffusa di quanto si possa immaginare.
In genere è un tizio sicuro di sé che parte da casa, con famiglia a seguito, alla ricerca di un passatempo che non deve costare nulla, o per trascorre una giornata senza spendere il becco di un euro. Le strategie sono risapute, ma è sull’elemento della sorpresa che fa affidamento. In un bar, per esempio, approfitta della confusione, ordina con decisione, consuma e al momento di pagare sgattaiola con nonchalance. Se l’esercente dovesse accorgersi, puoi giurarci che la risposta è: “ Scusassi, ma non pajau me mogghi? Oppure ” Scusassi, ma non paiau me maritu?” Secondo ruoli e accordi ben definiti, collaudati dall’esperienza.
In qualche posto c’è scritto: “ Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione…..” Non so se per dimenticanza o deliberatamente non si fa riferimento ai dialetti.
Forse è in questo elemento fonico- linguistico che esistono le differenze?
Pubblicato su La Sicilia il 15.11.2010
Saro Pafumi
mercoledì 10 novembre 2010
Nei panni di Fini
I politici sono uomini come tutti, anzi in qualche caso peggiore degli altri. Nel giudicarli è bene tenere presente questa certezza perché i santi, se esistono, esistono solo in paradiso.
Il politico, come essere umano ha pregi e difetti e fra questi, il più spiccato, l’ambizione. Senza ambizione nessun uomo politico va avanti, anzi col tempo finisce con esserne tagliato fuori. Detto questo, provo un po’ a mettermi nei panni di Fini e azzardo un ragionamento molto semplice. Pensa Fini: “ Ho 58 anni, essendo nato nel 1952. Berlusconi ne ha 74, ma da quanto è dato capire non ha intenzione di ritirarsi dalla scena politica. Se il governo terrà, le nuove elezioni avverranno nel 2012, quando avrò compito 60 anni. Se la nuova legislatura del 2012 durerà altri quattro anni, con il sempre ingombrante Berlusconi alla guida avrò compiuto 64 anni. Un uomo politico a 64 anni che prospettive potrà avere, oggi, che nuovi movimenti parlano di “rottamare i politici di antico corso? Se non è questo il ragionamento esatto, certamente si avvicina, perché chi cerca spazio, lo cerca attorno e attorno cosa vede: Berlusconi Un incubo! Si può pensare che quest’ipotesi è personale, faziosa e fantastica, ma a ben pensare può non essere tanto strampalata. La condotta che segue quest’ipotetico ragionamento ha per conseguenza: liquidare Berlusconi. E quale migliore occasione se non approfittare delle sue debolezze? E’ la regola del poker In quanto all’Italia, ai suoi problemi, all’economia, essi fanno parte dei proclami. Realizzarli? Si vedrà. L’elettore, come al solito cade nel tranello, credendo ancora una volta nella rinascita, nei posti di lavoro di berlusconiana memoria, perchè quel che importa è sentirselo ripeter da altri. Chi s’illude, come qualche lettore scrive su questa rubrica nel milione di posti di lavoro, nella rinascita dell’economia a breve cerchi i candidati anziché nelle liste elettorali nel calendario. Chissà che qualche Santo non esca fuori. La politica è un' arte molto meno nobile di quanto si creda. e l’uomo che la pratica assieme ai suoi pregi è condizionato dai propri difetti. Si tratta da parte dell’elettore di essere disposto a digerire quelli che in pratica fanno meno male al paese Le ambizioni personali spesso, più spesso di quanto si creda sono la vera stella polare del politico. Si chiami Berlusconi, Fini, Mario Rossi o Gennaro Esposito.
Saro Pafumi
Il politico, come essere umano ha pregi e difetti e fra questi, il più spiccato, l’ambizione. Senza ambizione nessun uomo politico va avanti, anzi col tempo finisce con esserne tagliato fuori. Detto questo, provo un po’ a mettermi nei panni di Fini e azzardo un ragionamento molto semplice. Pensa Fini: “ Ho 58 anni, essendo nato nel 1952. Berlusconi ne ha 74, ma da quanto è dato capire non ha intenzione di ritirarsi dalla scena politica. Se il governo terrà, le nuove elezioni avverranno nel 2012, quando avrò compito 60 anni. Se la nuova legislatura del 2012 durerà altri quattro anni, con il sempre ingombrante Berlusconi alla guida avrò compiuto 64 anni. Un uomo politico a 64 anni che prospettive potrà avere, oggi, che nuovi movimenti parlano di “rottamare i politici di antico corso? Se non è questo il ragionamento esatto, certamente si avvicina, perché chi cerca spazio, lo cerca attorno e attorno cosa vede: Berlusconi Un incubo! Si può pensare che quest’ipotesi è personale, faziosa e fantastica, ma a ben pensare può non essere tanto strampalata. La condotta che segue quest’ipotetico ragionamento ha per conseguenza: liquidare Berlusconi. E quale migliore occasione se non approfittare delle sue debolezze? E’ la regola del poker In quanto all’Italia, ai suoi problemi, all’economia, essi fanno parte dei proclami. Realizzarli? Si vedrà. L’elettore, come al solito cade nel tranello, credendo ancora una volta nella rinascita, nei posti di lavoro di berlusconiana memoria, perchè quel che importa è sentirselo ripeter da altri. Chi s’illude, come qualche lettore scrive su questa rubrica nel milione di posti di lavoro, nella rinascita dell’economia a breve cerchi i candidati anziché nelle liste elettorali nel calendario. Chissà che qualche Santo non esca fuori. La politica è un' arte molto meno nobile di quanto si creda. e l’uomo che la pratica assieme ai suoi pregi è condizionato dai propri difetti. Si tratta da parte dell’elettore di essere disposto a digerire quelli che in pratica fanno meno male al paese Le ambizioni personali spesso, più spesso di quanto si creda sono la vera stella polare del politico. Si chiami Berlusconi, Fini, Mario Rossi o Gennaro Esposito.
Saro Pafumi
domenica 7 novembre 2010
Leggi ad personam.Un ritornello ossessivo
C’è un ritornello che ricorre spesso sul caso Berlusconi, dato in pasto all’opinione pubblica, al quale molti abboccano: “leggi ad personam”. Volendo intendere con quest’espressione, becera e ossessiva, l’intento del premier di sottrarsi ai processi penali a suo carico. Che Berlusconi sia inquisito curiosamente a partire dalla sua “discesa in campo”, che risale, ormai, al lontano 2004, lo sanno pure le pietre Nonostante ciò, la maggioranza dell’opinione pubblica lo ha fin qui votato consegnandogli il potere per ben due volte. Sarebbe ora di uscire da quest’equivoco che è diventato un vero tormentone. Come? O si approva una legge confermata dalla Corte Costituzionale che impedisce a qualsiasi inquisito di accedere alla carica pubblica, cosa buona e giusta, dimezzando così facendo, in forma automatica, la presenza di deputati e senatori affetti dal morbo giudiziario o si approva una legge che non è giusto definire “ad personam”, ma a tutela del ruolo. Da questo dilemma non è altrimenti possibile uscire, giacché in caso contrario qualunque premier eletto, che fosse inquisito, sarebbe un premier a rischio, con la conseguente ingovernabilità del paese. E il paese non può permettersi in certe circostanze ( vedi l’attuale crisi economica nazionale e mondiale) né instabilità, né nuove elezioni che di per se costituiscono un dramma per l’intera comunità nazionale.
Il buon senso suggerisce di procedere, pertanto, in quest’’ambito, con logica e coerenza. Se poi la locuzione “ legge ad personam” si vuole utilizzarla come clava per disarcionare chi è stato legittimamente eletto dal popolo o può esserlo solo gli allocchi possono abboccare.
Il caso Berlusconi, poi, è veramente paradossale. Egli non è inquisito dopo la sua elezione, ma prima, il che dimostra che nel nostro ordinamento c’è qualcosa che non funziona: la legge o l’opinione pubblica.
Pubblicato su La Sicilia 08/11/2010
Saro Pafumi
Il buon senso suggerisce di procedere, pertanto, in quest’’ambito, con logica e coerenza. Se poi la locuzione “ legge ad personam” si vuole utilizzarla come clava per disarcionare chi è stato legittimamente eletto dal popolo o può esserlo solo gli allocchi possono abboccare.
Il caso Berlusconi, poi, è veramente paradossale. Egli non è inquisito dopo la sua elezione, ma prima, il che dimostra che nel nostro ordinamento c’è qualcosa che non funziona: la legge o l’opinione pubblica.
Pubblicato su La Sicilia 08/11/2010
Saro Pafumi
Le esternazioni del Premier
Preferisco essere ricco che povero, intelligente che sciocco, alto che corto, magro che grasso. Poveri, sciocchi, corti e grassi unitevi in santa alleanza contro chi fa queste affermazioni. Egli offende la vostra dignità di persona umana, calpesta i vostri diritti ad essere come siete, semina odio e violenza contro di voi, discrimina la vostra esistenza, emargina la vostra vita. Quella di esternare preferenze e stili di vita credo che rientri nella libertà di ognuno, senza con questo offendere chi queste preferenze non condivide.
L’esternazione di Berlusconi sulla condizione gay ha suscitato un’ondata di sdegno. C’era d’aspettarselo in questo mondo d’ipocriti, perché quello che Berlusconi dice, lo pensa il 90% della popolazione, ma non può essere espresso, in barba alla libertà di pensiero e d’espressione, da chi rappresenta le istituzioni. Preferenza per una condizione non significa condanna o disprezzo per le altre, ma un semplice punto di vista, un desiderio. Mi è permesso di dire, potendo scegliere, di non essere claudicante, senza con questo offendere gli zoppi?
La verità è che sulla condizione gay c’è un dibattito becero, retaggio di pregiudizi antiquati che confonde la condizione fisica con la dignità umana, seminando lungo il percorso dialettico una serie di distinguo come se “ persona” e “sesso” fossero un binomio inscindibile.
L’inghippo sta tutto qui: come considerare il gay. Finché si discute, come se fosse “una specie” da studiare e catalogare le diverse considerazioni lasciano scoperto il nervo della sensibilità di chi vive questa condizione. E’ come parlare di corda in casa dell’impiccato. Del resto non si possono spazzare d’un colpo secoli di pregiudizi in ogni latitudine e longitudine del globo terrestre sulla questione. La vera anomalia non è la condizione gay ma il pregiudizio attorno ad essa. Ciò non toglie, però il diritto di ognuno d’essere ciò che si desidera.
Saro Pafumi
L’esternazione di Berlusconi sulla condizione gay ha suscitato un’ondata di sdegno. C’era d’aspettarselo in questo mondo d’ipocriti, perché quello che Berlusconi dice, lo pensa il 90% della popolazione, ma non può essere espresso, in barba alla libertà di pensiero e d’espressione, da chi rappresenta le istituzioni. Preferenza per una condizione non significa condanna o disprezzo per le altre, ma un semplice punto di vista, un desiderio. Mi è permesso di dire, potendo scegliere, di non essere claudicante, senza con questo offendere gli zoppi?
La verità è che sulla condizione gay c’è un dibattito becero, retaggio di pregiudizi antiquati che confonde la condizione fisica con la dignità umana, seminando lungo il percorso dialettico una serie di distinguo come se “ persona” e “sesso” fossero un binomio inscindibile.
L’inghippo sta tutto qui: come considerare il gay. Finché si discute, come se fosse “una specie” da studiare e catalogare le diverse considerazioni lasciano scoperto il nervo della sensibilità di chi vive questa condizione. E’ come parlare di corda in casa dell’impiccato. Del resto non si possono spazzare d’un colpo secoli di pregiudizi in ogni latitudine e longitudine del globo terrestre sulla questione. La vera anomalia non è la condizione gay ma il pregiudizio attorno ad essa. Ciò non toglie, però il diritto di ognuno d’essere ciò che si desidera.
Saro Pafumi
mercoledì 3 novembre 2010
Perchè voto Berlusconi
Perché voto Berlusconi. E’ una domanda che ho posto spesso a me stesso, arrivando dopo sofferte peregrinazioni mentali a darmi una risposta. In un’epoca avvolta dalle nebbie, non è facile darsi una risposta, qualunque sia il tipo di domanda che ci si pone: dalla politica, alla morale, dalla religione all’economia, per finire al lavoro. La nostra esistenza è una zattera in balia delle onde, il cui approdo è incerto fin dalla nascita, ma in certi periodi storici è un miraggio. In politica, per esempio, che è il tema di quest’argomento, non solo è difficile, ma impossibile. Basta girarsi attorno per vedere il vuoto che ci circonda. In queste condizioni una scelta è necessaria farla e può oscillare tra una non scelta e una sia pure sbagliata. In mancanza di riferimenti certi, di simboli, d’ideali, si finisce col guardare dentro la propria anima, cercando come in un gioco di specchi, il personaggio che più ci somiglia, con pregi e difetti che sono anche i nostri. Per specchiarsi si ha bisogno, però, che il personaggio scelto si mostri senza quegli infingimenti di cui spesso s’ammanta il politico. Berlusconi si mostra “nudo” agli occhi del popolo: genuino, perchè non nasconde i suoi difetti, imperfetto come lo è ciascuno di noi; smanioso di potere com’è desiderio d’ogni mortale; realizzato com’è il sogno di tutti; benestante che è il fine che si propone l’uomo nell’arco della sua vita; Berlusconi abbraccia “ mostruosamente” tutte queste intime speranze e/o illusioni. Chi non vorrebbe trovarsi nei panni di Berlusconi! Egli è “un leader nudo”. Può piacere o no, ma almeno offre a tutti la possibilità di vederlo non attraverso l’immaginazione o il riflesso deformante dell’ipocrisia, ma dando la possibilità a ciascuno di guardare nel suo intimo, pregi e difetti compresi. Non si vuole dal politico la massima trasparenza? Quale migliore e maggiore trasparenza di mostrarsi “nudo” agli occhi del popolo?
Una volta tanto la politica non è solo apparenza, ma essere. Una novità in questo mondo d’infingimenti, nel quale chi li combatte finge egli stesso. Come ogni novità richiede d’essere metabolizzata, ammesso che possa esserlo. Il “paradosso Berlusconi” consiste nel rimproveragli quello che siamo o vogliamo essere noi, se si ha la sincerità d’ammetterlo.
Pubblicato su La Sicilia il 03.111.2010
Saro Pafumi
Una volta tanto la politica non è solo apparenza, ma essere. Una novità in questo mondo d’infingimenti, nel quale chi li combatte finge egli stesso. Come ogni novità richiede d’essere metabolizzata, ammesso che possa esserlo. Il “paradosso Berlusconi” consiste nel rimproveragli quello che siamo o vogliamo essere noi, se si ha la sincerità d’ammetterlo.
Pubblicato su La Sicilia il 03.111.2010
Saro Pafumi
lunedì 1 novembre 2010
LA CURA DELLE TOMBE,UN DOVERE.
Si avvicina la commemorazione dei defunti e per tradizione la visita ai nostri cari è un dovere. Frotte di persone si aggirano tra le rifiorite tombe sussurrando ricordi e preghiere. Crisantemi, rose, margherite, ciclamini, viole mani pietose depongono sulla tomba dei propri cari, rivestendo di festosi colori i freddi imbiancati sepolcri. Dopo, quando le lacrime si saranno asciugate e le labbra avranno finito di mormorare cosa resterà su quei sepolcri? Fasci di fiori col capo chino, segno che anche il nostro muto affetto s’è incupito. Un giorno di nostalgica pietà collettiva, il due novembre, cui fa seguito il totale abbandono di sepolcri e cari. Basta addentrarsi in un qualunque cimitero qualche mese dopo la commemorazione dei defunti per vedere ovunque ( salve rare eccezioni) seccume e squallore. Certamente non si può vivere perennemente “accovacciati” accanto alla tomba dei propri cari, ma una saltuaria visita sarebbe opportuna e gradita dai vivi e dai morti ( almeno per rimuovere i fiori appassiti) perché il ricordo dei propri cari deve essere un fiore sempre fresco, immarcescibile come lo fu in vita l’affetto dei nostri cari.
Pubblicato su La Sicilia il 31.10.2010
Saro Pafumi
Si avvicina la commemorazione dei defunti e per tradizione la visita ai nostri cari è un dovere. Frotte di persone si aggirano tra le rifiorite tombe sussurrando ricordi e preghiere. Crisantemi, rose, margherite, ciclamini, viole mani pietose depongono sulla tomba dei propri cari, rivestendo di festosi colori i freddi imbiancati sepolcri. Dopo, quando le lacrime si saranno asciugate e le labbra avranno finito di mormorare cosa resterà su quei sepolcri? Fasci di fiori col capo chino, segno che anche il nostro muto affetto s’è incupito. Un giorno di nostalgica pietà collettiva, il due novembre, cui fa seguito il totale abbandono di sepolcri e cari. Basta addentrarsi in un qualunque cimitero qualche mese dopo la commemorazione dei defunti per vedere ovunque ( salve rare eccezioni) seccume e squallore. Certamente non si può vivere perennemente “accovacciati” accanto alla tomba dei propri cari, ma una saltuaria visita sarebbe opportuna e gradita dai vivi e dai morti ( almeno per rimuovere i fiori appassiti) perché il ricordo dei propri cari deve essere un fiore sempre fresco, immarcescibile come lo fu in vita l’affetto dei nostri cari.
Pubblicato su La Sicilia il 31.10.2010
Saro Pafumi
Iscriviti a:
Post (Atom)