lunedì 25 novembre 2024

Generazione fortunata

 Generazione  fortunata.

Mi ritengo fortunato di avere vissuto la mia generazione, quando i nostri sensi godevano al solo odore del pane fatto in casa, la spesa si faceva nella vicina “putia” e per il credito si usava la “libretta” in rigorosa copertina nera, che anticipava la moderna carta di credito, e quando era un piacere mangiare la frutta direttamente dall’’albero. La vendemmia era un rito collettivo, tra canti e suoni ed erano in uso “ coffe e cufini” per la raccolta dell’uva, oggi soppiantate da vaschette di plastica e tanta tristezza. Era l’epoca in cui, dopo avere consumato a casa la colazione a base di latte caldo e pane abbrustolito, andavo a  piedi a scuola, anche nelle giornate di pioggia, indossando la mantellina gialla con cappuccio, gli stivali con il pranzo nel cestino di vimini. L’obesità giovanile non esisteva, perché  la fame si tagliava col coltello. L’ olio di fegato di merluzzo era di moda, per chi se lo poteva premettere, per superare certe forme anemiche. Apparivano le prime auto, che un po’ alla volta sostituivano i mezzi da traino, fino allora i soli mezzi di trasporto, col loro scalpitio, che si accompagnava al monotono cigolio dei carri. Nei bar apparivano i primi jukebox, per la gioia disincantata dei giovani, alla ricerca della novità discografica “ Diana” di Paul Anka.Era l’epoca in cui si affacciava alla ribalta la breve corrente degli “ urlatori, in testa, Tony Dallara con la sua “ Come prima”A Catania in via Etnea si potevano assaggiare i rinomati arancini da Giardina o frequentare la rinomata pasticceria Caviezel, ritrovo della migliore scapestrata gioventù catanese, con la loro aria da playsboys o percepire l’inconfondibile odore di burro, transitando per via Umberto, dove il biscottificio Lo Bello era il vanto di tutta la provincia. A Messina  imperava la pasticceria Irrera e la rinomata gastronomia “Pippo Nunnari”, che richiamavano molti clienti dalle località più remote. Non c’era il logorio della vita moderna e per strada potevi incontrare persone liete di fischiettare le nuove canzoni di Sanremo. La gioventù trovava nei giochi fatti di povere cose la gioia di vivere all’aperto e l’amicizia era praticata col cuore. Oggi si è tutto capovolto e non resta che la nostalgia di un tempo felice che non torna. Una generazione che ho potuto assaporare e godere, di cui mi rimane il nostalgico retrogusto di una gioventù fortunata. 

C'è crisi! C'è crisi|

 C’è crisi! C’è crisi !

Oggi se si va in giro, la locuzione più diffusa che si sente ripetere è: “ C’é crisi! C’è crisi. Un’ecolalìa ossessiva compulsiva che riguarda tutti. Mia nonna l’avrebbe definita “la solita tiritera. Che ci sia del vero, non è certo. Perché se si scende in fondo, si scopre che chi ti ha dato quella risposta è reduce da una crociera; ha cambiato auto con una nuova più costosa; è sedicesimo in fila, per una “Sette veli” e non salta giorno festivo che non acceda con famiglia alla vicina pizzeria, straboccante di folla. C’è crisi ! c’è crisi si legge sui volti, alla vigilia della domenica, per poi il giorno festivo, a bordo dell’auto, in fila indiana, raggiungere i Nebrodi, per andare a riempirsi la pancia tra quei monti colorati di verde e azzurro, dove da ogni pertugio si diffonde un lontano odore di arrosto, il nuovo incenso, che rigenera i sensi. E’ la nuova Mecca, dove, all’interno del territorio, non c’è la pietra nera (al-bagiar all’aswad), ma salsicciate di rigoroso suino nero, carne di montone alla griglia, salame, provole, tra deliri di vintage d’annata. Poi il millepiedi d’auto, dagli occhi di seta, fa ritorno a casa, nell’oscurità della vita che ci aspetta. Passata la festa, ritorna la solita, monotona ecolalìa: c’è crisi! c’è crisi! Non è colpa del solo lunedì, ma dalla nostra voglia di far funzionare la pancia, l’unico organo, muti gli altri, al quale si è impiccato l’uomo di oggi

lunedì 11 novembre 2024

L'Isola del sole

 

L’isola del sole

Viver m’è lieto

ove gli uccelli

la danza accompagnano

al canto,

la zagara

è madre di mille odori,

la terra

ubriaca di colori.

 

Vivere m’è lieto

ove la nebbia

m’accarezza

e muore,

 gli alberi

si vestono

di fiori.

Eolo a cullar

da mane a sera.

le ondeggianti spighe d’oro.

 

Vivere m’è lieto

ove il ficodindia

nasce tra pietre e ginestre

e mai muore,

il mare

una culla d’amore,

il tempo né affanno, né dolore.

Da “ Le brevi” di Saro Pafumi