giovedì 18 novembre 2010

Come ci vede un amico brasiliano

Feci passare due anni da quando l’avevo conosciuto, poi gli chiesi a bruciapelo:” Come ti trovi nel nostro paese?”. Il mio amico brasiliano mi guardò, poi dopo una breve pausa, come chi avesse bisogno di raccogliere i pochi disordinati pensieri, mi rispose: “ Ho la pancia piena, ma la testa confusa” Poi come un fiume in piena, di cui si sono rotti gli argini, mi elencò le sue certezze e le sue ansie. “Vedi”, proseguì, “la prima cosa che mi saltò agli occhi arrivando in Italia è che tutti portate l’orologio al polso. Da noi non c’è bisogno, perché il tempo non si misura in ore, minuti, secondi, ma in mesi, settimane tutto al più in giorni. Qui da voi il tempo è come da noi il cibo, si corre appresso cercando di acchiapparlo. Ma non so se lascia più morti per terra la fame o la fretta. Da voi il cibo si butta, da noi si raccatta. La seconda cosa che mi ha colpito? L’espressione del vostro viso. Avete tutto, ma vi manca la felicità e si vede. Noi, al contrario, non abbiamo quasi niente ma la felicità sprizza da tutti i pori. Canti e balli sono per noi il pane dell’anima; qui, da voi non ho percepito dove sta l’essenza del divertimento”.
“ Di cosa hai più nostalgia: della tua città, della famiglia, degli amici?” gli domandai, quasi volessi dargli la possibilità di riprender fiato. “ A bola”, mi rispose, con disarmante naturalezza. Il pallone, si sa, per i brasiliani è come il pane per gli affamati o l’eucaristia per i credenti, ma anteporlo a certi valori per noi è una bestemmia.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda”. lo incalzai, cercando di capire se l’Italia era per lui una seconda patria.
“Eu respondo com um proverbio de nos antepassados: Se a vida the der um limao, faca dele uma cairpiriha” (Se la vita di dà un limone fallo diventare un cocktail). Lo salutai con una pacca sulla spalla, senza capire se l’augurio era rivolto a lui, a me o ad entrambi.
Pubblicato su La Sicilia il 18.11.2010
Saro Pafumi

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