mercoledì 15 maggio 2024

L'autolesionismo di noi meridionali.

 

L’autolesionismo di noi meridionali

Si fa fatica a comprendere le cause che producono l’autolesionismo di noi meridionali. Una condizione di auto sabotaggio e auto lesiva, forse determinata dall’esigenza di mantenere la condizione di vittime che noi meridionali andiamo sbandierando ai quattro venti fin dalla nascita. Un dolore quindi, che tramutiamo in soddisfazione, negando valore a tutto ciò che contraddice questo nostro innato autolesionismo. La costruzione del ponte sullo stretto ci offre la condizione ideale per affermare la nostra innata condizione di perenni vittime. Una patologia che affligge persone di ogni ceto sociale e culturale. Non esiste alcuna controindicazione alla fattibilità di questa struttura, frutto di costosi anni di ricerche,eppure ciò che può sembrare ovvio, si traduce in dubbio o negazione. Preferiamo annebbiare la nostra razionalità, pur di negare la positività di un’iniziativa, che quand’anche fosse inutile, dovrebbe essere ritenuta salutare, se non altro perché, una volta tanto, la nostra atavica, reale  condizione d’insularità, si congiunge al resto del mondo, che sentiamo ostile da secoli. Ben verga quindi quest’opera “inutile”.Una volta tanto, lo sperpero di denaro pubblico, che avrà sottratto risorse al tanto odiato Nord, consideriamolo con gioia malevola. Pubblicata oggi  15.05.2024 su La Sicilia.

lunedì 13 maggio 2024

Amore malato

 

Amore malato

“Cosa vorresti essere nella vita?” mi chiese Gabriele, con quel suo modo di porre le domande che non facevano distinguere se parlasse seriamente o per celia. Prima di rispondergli lo fissai negli occhi, l’unico modo per capire Gabriele. C’eravamo conosciuti, per caso, ironicamente punzecchiandoci” sull’amore coniugale”, un tema sul quale avevamo visioni diverse. Quando ami l’ironia e t’imbatti in un tizio parimente ironico è di solito amore a prima vista. Com’era naturale che avvenisse tra me e Gabriele. “ Ti ribalto la domanda” risposi. “ Ti dirò cosa ‘non’ vorrei essere”. “Sentiamo!” intervenne Gabriele, un po’ spiazzato dal rovesciamento della domanda fattami. Capitava speso tra me e Gabriele porci delle domande, che scivolavano sempre sul piano metaforico, dove l’ironia è come il prezzemolo sulle vivande. “ Vorrei non essere l’edera, semplicemente non essere l’edera”, precisai, badando a ripetere e scandire le ultime parole. “M’incuriosisce” intervenne Gabriele” del resto sapere quel che non si vuole essere, restringe il campo per capire quel che si vuole essere”. Queste discussioni Gabriele ed io le facevamo passeggiando, perciò amavamo definirci ‘i due pazzi patetici’, ironicamente mutuandolo e storpiandolo dall’aristotelico ”peripatetico”. Ci accomunava anche l’ammirazione per Aristotele, che definivamo il principe della logica, la cartina di tornasole di ogni ragionamento.  Tant’è che ogni nostro discorso finiva con il porci sempre lo stesso interrogativo: “ Ha una logica?" . Camminando per le vie del paese ci spingemmo più oltre, dove io avevo intenzione di condurre il mio amico, giacché là si trovava la chiave per capire cosa io “non volessi essere”.

L’albero era imponente e ciò che lo avvolgeva aveva l’aspetto di un mostro.

.Un alto albero di quercia interamente ricoperto di rami d’edera, quasi a soffocarlo. “ Ecco, vedi ” dissi,”non vorrei essere quell’edera. Un albero maestoso,imponente ,utile, secolare strangolato da una misera pianta.”Quante volte hai sentito parlare dell’edera come simbolo d’amore, di fedeltà. Sono state scritte migliaia di cose sull’edera e anche canzoni, e la mitologia è ricca di citazioni su questa pianta, ma forse non sai che essa è collegata a una disgrazia. “Secondo l’antica leggenda un giovane di nome Cisso, il quale si esibiva nelle feste in onore di Bacco con salti e acrobazie spericolate, ebbe un giorno un grave incidente. Il divino Bacco, che si era affezionato al giovane, per impedirne la morte lo trasformò in una pianta, l’edera, capace di arrampicarsi su qualsiasi superficie”. Non sai anche che le sue bacche sono molto irritanti e che dai suoi rami si sviluppano radici,capaci di ancorarsi al supporto che la sostiene fino a soffocarlo senza pietà,anche quando l’albero muore,Non ama il sole, si fa chiamare Elix che significa prendere, aggrapparsi, striscia un’intera vita o rimane abbarbicata per secoli, senza nulla dare ma solo ricevere Io non vorrei essere edera. Che vita sarebbe la mia se rimanessi orfano dell’amore al quale mi sono aggrappato;se il mio aggrapparsi all’amore è sua morte?” Gabriele tacque a lungo prima di rispondermi,come soleva fare per cercare la risposta più forbita.”E se cercassimo di liberare l’albero dall’edera?”mi rispose.”Lo possiamo fare con le piante”, gli risposi, ma tra persone,l’impresa è più ardua. Se avvertiamo che il nostro modo di relazionarci con qualcuno, se il nostro modo di amare è sbagliato, dobbiamo avere la forza di rinunziare all’idea di essere così testardi da potere cambiare la persona che amiamo. Dobbiamo rinunziarci. Solo così possiamo evitare le tante tragedie che si maturano in ambito familiare. Gabriele questa volta tacque a lungo. Aveva capito che la metafora era rivolta a lui ,alla sua situazione familiare al suo amore malato verso la sua donna. Il ritorno fu pieno di silenzi e anche di tristezza Nessuno aveva voglia di parlare,né di spiegare. Quando giungemmo sotto casa sua, Gabriele mi strinse la mano e guardandomi negli occhi mi disse : “ Aristotele sarebbe stato contento del ragionamento che hai fatto. Per lui la logica non è una scienza , ma uno strumento per capire,Tu pensi come un uomo saggio, ma come dice Eschilo “‘la saggezza è un punto di vista sulle cose” Se cambi angolatura le cose cambiano”. Gabriele ancora una volta non smentiva se stesso. Voleva rimanere enigmatico, come suo solito. Amava il dubbio. Del resto tutta la sua vita, io, che lo conoscevo bene, sapevo che altro non era stata che una mancata scelta tra errori e incertezze. Mi confortava l’idea di avere seminato nel suo cuore e la logica, che tanto amavamo Gabriele ed io,m’era di supporto .Sperai.

 

domenica 12 maggio 2024

La processionaria imperversa sull'Etna

 

La processionaria imperversa sull’Etna.

La processionaria nella nostra pineta è stata sempre di casa. Fino a non molto tempo fa si procedeva a regolari disinfestazioni, poi alcune norme ne hanno impedito l’uso, talché oggi è molto diffusa. In primavera il fenomeno è molto visibile e presente nel terreno, il che la rende pericolosa all’uomo, poiché le larve a causa dei loro peli urticanti, se in contatto con la pelle, possono causare irritazioni e reazioni allergiche e persino problemi respiratori. Il problema potrebbe incidere sul turismo, se a conoscenza dei tanti che amano visitate la pineta in primavera, quando il fenomeno è più grave e visibile. Il primo problema da affrontare è se informare i turisti, con le possibili ricadute sull’affluenza, ma sarebbe più giudizioso che le Autorità comunali e forestali affrontassero preventivamente il problema, che, in difetto di qualsiasi utile intervento, potrebbe avere conseguenze deleterie sul turismo. Le predette Autorità sono consapevoli del fenomeno? A quanto pare, sembrerebbe di no, perché non si vedono interventi sul settore, che, invece, merita attenzione e soluzioni. Pubblicata oggi 12.05.2024 su La Sicilia

mercoledì 1 maggio 2024

Non tutti sanno che........

 

Non tutti sanno che………

Non tutti sanno che al nostro esimio concittadino Prof. Salvatore Castorina è stato conferito, di recente, un importante riconoscimento: la targa della tessera e del distintivo a vita dalla sede centrale del Lions Club International Stati Uniti, su proposta del Lions Club di Taormina. Ho avuto modo di visionare l’originale del riconoscimento, riportato in forma sintetica dal quotidiano La Sicilia del 30 u.s. dove si legge la motivazione: “Uomo di grande umanità e cultura che ha dedicato parte della sua vita ad azioni filantropiche e umanitarie, che sono oggi un vero orgoglio per il lionismo internazionale” Nell’articolo si fa cenno anche al Campus della Comunità di Capodarco, con sede in Linguaglossa, costruito con finanziamento lions, che nel periodo estivo ospita numeroso giovani disabili, provenienti da tutto il mondo. La vita e l’azione del nostro concittadino Prof. Castorina, mi richiama alla mente un altro grande personaggio della medicina, Giuseppe Moscati, detto “il medico dei poveri”, il cui corpo riposa nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. Chissà se un giorno anche per lui, si compirà il percorso evangelico del Moscati. L’accostamento non è casuale, ove al termine povertà non si attribuisca il significato letterale del tempo in cui visse il Moscati, ma la condizione di chi oggi soffre e non ha una risposta dallo Stato, spesso soddisfatta da Cliniche private, la Morgagni, in primo luogo, fondata dal nostro concittadino, che si aggiunge, come fiore all’occhiello, alle tante, altre sue iniziative nel campo medico e umanitario.

 

Non tutti gli amori fioriscono in primavera

 

Non tutti gli amori fioriscono in primavera.

“ Tho! Guarda chi ci viene incontro, lei: una bella donna, impegnata nel sociale. Se vuoi, te le presento” disse Mario

 “Non è il caso, in mezzo a tanta folla” rispose Dario, che, scostandosi da Mario, fece finta di guardare dentro una vetrina, per evitare l’imbarazzo di quell’incontro inaspettato.

Non ebbe il tempo di formulare la risposta, quand’ecco che lei lo urtò con la spalla, per evitare d’inciampare con chi le stava davanti, in quella mattina di tarda primavera, in cui molta gente affollava la città.

Nessuno chiese scusa per quell’atto involontario, come se entrambi non avessero colpa di quello scontro. Uno scontro assai fugace, che nella mente di Dario lasciò qualcosa d’incompiuto, quasi un presagio di ciò che sarebbe accaduto.

Lei, Rita, così si chiamava, era impegnata nel sociale e Dario frequentava spesso quell’ambiente, dove praticava il volontariato. Prima  o poi doveva accadere che s’incontrassero e quando avvenne, Dario si ricordò subito di quello ‘scontro’avvenuto in quella lontana mattina di primavera.

Ora lei gli stava davanti, in tutta la sua avvenenza, rimanendone folgorato. Il suo aspetto fisico possedeva un non so che di mistico, che esaltava la sua bellezza, soave e leggera, quasi evanescente, come un giorno di primavera, che per la sua natura poetica, aiuta a formulare emozioni e sensazioni profonde. La stessa sensazione che si attiva, quando si ammira un campo di ciliegi in fiore, che odorano di primavera. Le sue mani bianche, come il latte, quando si muovevano par accarezzassero l’aria. La sua voce calma, suadente, ma incerta,  accompagnava il suo sguardo, che si perdeva nel vuoto.

Gli incontri col tempo diventarono numerosi, sempre più forieri di sensazioni forti per entrambi, trattenute dalle condizioni personali: lui coniugato con prole, lei casta, per virtù. Una scelta forte, che presuppone la convinta rinuncia a donarsi, in vista di beni ritenuti superiori: etici, religiosi o per accadimenti naturali o esperienze di vita Con la crescente intimità, lei fini di ammettere che quella scelta era nata da una cocente delusione d’amore e con quella scelta libera aveva trovato rifugio, per fuggire alle umane passioni. Una scelta che Dario considerava stantia, banale, sprecata, dato il suo irresistibile fascino, ripiegato tra le piaghe del destino.

Tra un incontro e l’altro, era inevitabile che quelle due vite, racchiuse in gabbie separate, fossero destinate a intrecciarsi, senza un perché, finché un giorno le vincenti forze della natura sbocciarono in un bacio. Lei non si ritrasse, ma non assecondò l’amoroso gesto. Lasciò che le sue labbra rimanessero serrate e il suo viso si girasse dall’altra parte, sospinto da quello sfuggente bacio. Solo i loro occhi parlavano, lanciando vicendevoli sguardi, pungenti come aghi di pino, da cui par trasudassero repressi desideri di due martoriate anime. Per Dario il bacio su quelle labbra inafferrabili, non accettato, ma nemmeno respinto aveva il sapore del miele. Gli occhi di quella donna che gli stava davanti, sembravano a Dario fiocchi di gioia che si adagiavano dolcemente sulla sua anima, mentre a lei quel bacio inaspettato parve una carezza di Dio. Nessun dei due osava aprirsi, imprigionati, com’erano, in storie diverse. Quell’amore, non cercato, era solo un seme sepolto nel mondo oscuro delle intenzioni, che mai si sarebbe tramutato in fiore, simbolo di una primavera amorosa. La prole e la castità, che contrassegnavano le loro vite, erano valori irrinunciabili. Rimaneva solo quel bacio, una bianca rosa, in un giardino di spine, un suggello d’amore impossibile. Nato per caso, perché poteva accadere, perché doveva accadere, perché è accaduto. Come le tante cose che accadono senza un perché.

 

 

 

 

Noi e l'alheimer

 

Noi e l’alzheimer.

L’alzheimer, una patologia che blocca la mente e rende irriconoscibile tutto ciò che la circonda, non è una malattia alla quale è facile assuefarsi. Quando una persona cara muore, col tempo subentra la rassegnazione, ma se la stessa è affetta dall’’alzheimer la reazione è diversa, si direbbe più triste e dolorosa. E’ difficile accettare la barriera che ci divide dalla persona amata, muta nella mente, che sta a guardarci, come se una vita trascorsa insieme fosse un sorso d’aria svanito nel petto. Tra noi e la persona cara, la vita ha posto una siepe di filo spinato, contro cui la nostra anima, nel vano tentativo di riportare alla luce quel grumo di ricordi succhiati dal buco nero del nulla, s’imbriglia, sanguinando gocce di dolore. L’alzheimer, anticamera della morte, rinchiude la persona affetta in un virtuale campo di concentramento, dove a germogliare, non è più un’anima, ma il fiore del dolore. Una visione immaginaria, magistralmente descritta nell’’opera pittorica di E Munch, dove si vede una donna in uno stato di profonda tristezza, con attorno tanti fiori appassiti, simbolo delle persone care che le stanno a fianco e vivono la sua stessa sofferenza. Un dolore che non ha mai fine e veste forme diverse. Tra tanto soffrire ci piace immaginare chi è affetto da alzheimer come un fiore col capo chino, che al tramonto della vita si appresta a volare tra le fuggenti nuvole, alla ricerca di un luogo dove attecchire e rifiorire, se ciò può servire a lenire anche le pene di chi resta. Pubblicata oggi 01.05.2024 su La Sicilia