sabato 14 gennaio 2012

Riflessioni sul censimento ISTAT 2011

Se qualcuno riuscirà a convincermi dell’utilità del censimento Istat 2011, giuro che mi farò monaco. Come ogni cittadino al quale è stato recapitato il plico con la richiesta di notizie da trascrivere, ho dato una sbirciatina alle varie domande, giungendo alla conclusione che esse sono quasi tutte reperibili nei Comuni di residenza. Una montagna di fogli inutili che sostanzialmente hanno come risultato di sapere: come ti chiami, dove sei nato, se lavori. A parte naturalmente, circostanza vitale per lo Stato, di conoscere se usi il telefonino e se per caso hai il bagno in casa. La prima sensazione che coglie il comune cittadino non appena ha il plico tra le mani è di sincero sbigottimento. Rispondere ai quesiti appare a prima vista come scalare l’Everest, ma superato il primo impatto, prima di accingersi a compilare il questionario, la domanda nasce spontanea: quanto costa tutto questo a noi cittadini? Una facezia, a fronte dell’enorme debito dello Stato, salvo a pensare subito dopo che il mare è fatto di tante gocce che messe insieme formano un oceano. Nel questionario mi sarei aspettato un cenno sulla pensione/. Silenzio su tutto il fronte. “Meglio non parlare di corda in casa dell’impiccato” avrà pensato colui che ha redatto il questionario, concentrandosi sulle sciocchezze che aiutano a sperperare una montagna di quattrini. Pubblicata su La Sicilia il 13.01.2012. Saro Pafumi

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