lunedì 26 dicembre 2011

Le amarezze di un coltivatore di agrumi.


Solo, seduto, ricurvo su se stesso. Fuori il cielo stellato. La finestra si apriva su di un’ampia vallata sfavillante di bianchi fiori di limoni, appena accarezzati dalla luce della luna. Il tepore della primavera e la brezza marina trascinavano dentro la stanza il fresco profumo della zagara appena fiorita, il resto si disperdeva al di là dell’’orizzonte. Don Marianu, “ U signurinu”, come lo chiamavano i contadini, era nato lì, in quella stessa stanza, un lontano giorno di primavera. Il suo primo respiro si era impregnato del soave profumo della zagara, che amava. I limoni per lui non erano solamente frutti, rugosi, aspri, succosi, erano la sua ragione di vita. Generazioni prima di lui erano vissute grazie a questo frutto, nato dal sole. Ora non più. La crisi, la globalizzazione avevano reso quel frutto magico una semplice spugna da spremere, “pastazzu” per animali. Solo, seduto, ricurvo su se stesso recuperava dal fondale della mente i tanti, dolci ricordi del passato, come fa il pescatore col suo palamito appesantito da mille ami. I figli che di limoni non volevano sentir parlare, più volte gli avevano detto: “ vendi ! vendi !" . A lui, che con quei limoni ci aveva mantenuto la famiglia e fatto studiare i suoi quattro figli quel “vendi ! ”, insolentemente ripetuto, era apparso un pugno sferratogli nello stomaco. La delusione lo aveva incupito, reso canuto, i limoni invenduti avevano devastato il resto. Solo, immerso in quell’ampia vallata di limoni fioriti, ne respirava l’aria profumata che puntualmente a primavera la natura gli donava. Che i limoni marcissero ai piedi degli alberi, pensava. A lui bastava quel magico profumo di zagara, che nessuna crisi poteva portargli via. Pubblicata su La Sicilia il 27.12.2011 Saro Pafumi

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