sabato 17 marzo 2012

Consumismo tecnologico

“Il “pezzo” che dovrò sostituire durerà al massimo tre mesi” mi disse con tono divertito e gaudente l’operatore che avevo chiamato per la riparazione della lavatrice. La ragione, aggiunse, è dovuta alla politica delle case costruttrici sempre più orientate, per ragioni produttive, a dimezzare la durata dell’elettrodomestico prodotto, favorendo uno sfrenato consumismo tecnologico. La “confessione” dell’operatore aveva un profondo senso di verità, confermata dagli innumerevoli relitti di utensili casalinghi, quasi nuovi, disinvoltamente abbandonati per le strade. Mia madre, buonanima, usò lo stesso frigorifero per quasi cinquant’anni. Anche quando, per vetustà, si ruppe la maniglia, pur di non disfarsene, preferì aprirlo a ginocchiate. Un esempio di rara fedeltà affettiva all’elettrodomestico e di risparmio familiare. Erano diversi i tempi e le persone. La vera “lavatrice” era, però, una certa “ Gnurangela” che faceva il bucato a mano, a casa di mia nonna, col sapone solido a pezzi, anch’esso fatto in casa. Allora non esisteva Coccolino, Vernel, Omino bianco, si usavano le mani con i calli, il sole che sbiancava faceva il resto, aiutato dal vento di tramontana. Il profumo della biancheria non era compito di Nuncas, da aggiungere al risciacquo, ma un mazzetto di lavanda profumata, riposta assieme alla biancheria nel cassettone della nonna. Oggi tutto è affidato alla centrifuga della lavatrice, che, di notte, col suo monotono tremore cinetico sembra quasi ricordarti, impietosa, che esiste il morbo di Parkinson, all’indispensabile, costosa, energia elettrica e ai liquidi corrosivi che la terra inghiotte, per restituirceli in alimenti. Le strade sono cimiteri di elettrodomestici: la tv ancora ”nuova”, con “impresso” il volto sfigurato di quello che fu l’ultimo presentatore, si accompagna al freezer con ristagni di cibi congelati, la lavatrice con l’oblò aperto, suo ultimo respiro, prima di essere sepolta da un materasso permaflex, più avanti un paio di scarpe slacciate con la suola scollata, come la lingua di un impiccato. Qualcuno su tutto ha deposto un mazzo di fiori secchi, non si sa per disfarsene o per commemorare quei relitti, avanzi di una civiltà consumistica che muore prima di nascere.
Pubblicata su La Sicilia il 16.03.2012. Saro Pafumi.

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