mercoledì 22 febbraio 2012

Anacronisno di certi riti religiosi

La nomina dei nuovi ventidue cardinali fatta dal Papa, un rituale vecchio di secoli, si conclude, appoggiando il galero rubrum sul capo del nuovo cardinale con una frase latina che contiene il seguente inciso: ” Usque ad mortem et sanguinis effusionem”. Poi qualcuno pensò bene di omettere dalla formula “ ad mortem”, rimanendo il vincolo del sangue. Un giuramento che fa venire i brividi, giustificabile in epoche remote, ma del tutto fuori luogo nel contesto della moderna civiltà. Un giuramento di fede è sempre una promessa, in cui di sacro c’è o dovrebbe esserci l’osservanza dei Dieci comandamenti e delle rigorose leggi della Chiesa, per chi ne fa parte come componente autoritaria. Il ricorso alla morte lasciamolo alla volontà di Dio e l’effusione del sangue agli eventi imponderabili della vita umana, altrimenti la storia fa un passo indietro di qualche millennio. Quel che risalta a prima vista è la stupefacente analogia col rito mafioso, in cui il nuovo affiliato è sottoposto al rituale delle parole e dei gesti, con il ricorso al solito giuramento che chiama in causa, anche qui, la morte e il sangue. In un’affiliazione malavitosa in cui “la morte” e “il sangue” sono pane quotidiano, né potrebbe essere diversamente, il ricorso a tali termini è fin troppo ovvio, Ma nella Santa Romana Chiesa il giuramento di fedeltà da pagarsi con la morte e col sangue dovrebbe essere lasciato almeno alla libera volontà del nuovo eletto. La civiltà si misura con opere e azioni, ma anche le parole e i riti hanno la loro importanza e talvolta, purtroppo, si sconfina nel paradosso, ossia nell’incapacità di discernimento dei nostri limiti, religione compresa. Saro Pafumu

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