giovedì 6 settembre 2012

La metafora del sacchetto in fuga


Si dimena, si contorce, si agita, infine rotola per terra, come “un evaso” dal cellulare che, rotte le catene, assapora la libertà. Non gongolate di gioia se vi capita d’imbattervi in un sacco rinvenuto per strada. Non si tratta del sacco pieno di regali smarrito da una distratta befana, né di uno pieno di soldi abbandonato da un anonimo benefattore né di un pacco bomba, per cui è consigliabile avvertire gli artificieri. E’ semplicemente un sacco d’immondizia, che, rotolando dal compattatore, guidato da un operatore ecologico distratto e sonnolente, nutre la speranza di sottrarsi alla sua ingloriosa fine. Non sa “il poveretto” che l’attende un diverso, inesorabile tragico destino. Se anche un automobilista caritatevole zig-zagando riesce a risparmiarlo, un altro sopraggiunge e poi un altro ancora, una catena interminabile di auto che lo sfortunato superstite trasforma in un’irriconoscibile poltiglia spiaccicata per terra che forse si tramuterà in fertile humus o in trappola mortale per le mille bestiole fameliche che l’assaliranno. Il trasporto dell’immondizia con i compattatori è anche questo: un viaggio nell’ignoto o l’incontro ravvicinato con le auto o peggio ancora il colpo di frusta nel parabrezza di un anonimo automobilista, secondo la metafora: “Chi sputa in cielo in faccia gli ritorna”. Siamo del tutto consapevoli che la spazzatura che produciamo, se non adeguatamente trattata, non ci ritorni addosso come quel simbolico sacchetto che, rotolando dal compattatore, ci ricade addosso? Anche da un episodio così apparentemente insignificante a volte è possibile cogliere un insegnamento di vita o per lo meno un campanello d’allarme sul destino che ci aspetta se il nostro approccio con lo smaltimento dei rifiuti è contrassegnato da menefreghismo e superficialità.

Pubblicata su La Sicilia il 06.09.2012. Saro Pafumi

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