domenica 29 aprile 2012

Quel che rimane del glorioso collegio dei Padri Domenicani

Se la notizia che in questi giorni, a Linguaglossa, corre di bocca in bocca trova conferma, un pezzo di storia paesana, a breve, entrerà negli archivi cittadini. Mi riferisco alla temuta chiusura della “Casa San. Tommaso”, più propriamente nota come Collegio dei Padri Domenicani. Un tempio di studio e di formazione per tanti giovani siciliani e calabresi, che da questo luogo hanno mosso i primi passi per affermarsi onorevolmente nel mondo del lavoro. Un collegio, fortemente voluto dai Padri Domenicani, dove la lingua dei nostri padri, latini e greci, non era un semplice idioma da studiare, ma la nostra storia da apprendere. Achille, Ulisse, Ettore, Enea, Omero, Orazio, Virgilio Tacito, Cicerone entravano e uscivano dalla nostra cartella, assieme alla merendina che la mamma amorevolmente ci confezionava. Poi era il ruolo degli insegnati a fissarceli nella mente. Padre Pintacuda, Cascio, Barilaro, Ciadamidaro, esempi d’infinita sapienza, per finire ai vari Bottino e Magro che avevano a cura la nostra anima (religione) o il nostro fisico (sport). Poi l’età e il tempo logorò la forza di questi pionieri e le successive generazioni di Padri domenicani, salvo qualche raro esempio, non ressero alle sirene del mondo laico. Senza l’entusiasmo della fede, della cultura e della passione chi successe ai Padri fondatori seminò macerie e presto il Collegio travolto da beghe, egoismi e difficoltà non resse all’opera grandiosa per cui era stato realizzato. Fu la fine, o, ahimè la sua metamorfosi. Da luogo di sapere, divenne Casa Albergo per turisti con le conseguenze commerciali e prosaiche di una simile trasformazione. Quando mi capita di passarci accanto non vedo affacciarsi alle finestre i miei insegnanti con i loro riconoscibili e amati scapolari bianchi, la loro dottrina e la loro sapienza; nelle aule scolastiche non si ascolta più la timida voce degli studenti intenti a recitare: “Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei”, nel cortile non ci sono i carri immaginari degli Achei e dei Troiani a fare da cornice alla sfida a singolar tenzone tra Achille ed Ettore, ma Bus e Corriere. L’amicizia tra Eurialo e Niso, su quei banchi di scuola, fu stile di vita, non metafora di virgiliana memoria, se è vero che anche dopo mezzo secolo alcuni di noi studenti coltiviamo antiche amicizie come fiori appena coperti dalla fresca brina del tempo. Nelle aule non si avverte il suono del gesso che stride sulla lavagna, ma il rumore prosaico e godereccio delle postate sui piatti, confuso al vocio dei vacanzieri. Più che una metamorfosi, una “profanazione” di quello che fu tempio di cultura e di fede. Oggi anche la Casa Albergo registra la sua decadenza. Una struttura sepolta da canoni, tributi, imu e balzelli vari. La diva stavolta canta “l’ira funesta che infinito adduce lutto” ai linguaglossesi. Il tempo, mi auguro, vorrà almeno risparmiarci la rovina fisica del suo “colonnato”, perché se non così fosse gli spiriti dei vecchi Padri fondatori, aleggerebbero, a ragione, tra le sue rovine per riappropriarsi di ciò che al loro è stato rubato per sempre e alla cittadinanza il vanto di annoverarlo tra le sue virtù Pubblicata su La Sicilia il 29.04.2012 Saro Pafumi

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