sabato 17 settembre 2011

Dottore si diventa, ma talvolta può essere una scelta sbagliata

La lettera di E.Torrisi “Sono stanca” pubblicata su questo quotidiano (14.09 pg.31) è un condensato di delusioni che non risparmia niente e nessuno. Eppure, non aggiunge nulla di nuovo alle note amarezze di chi è alla ricerca di lavoro. Amarezze con le quali i giovani condiscono giornalmente le preghiere mattutine, quasi fossero altrettante suppliche rivolte alla Divinità che li ascolta. Problemi e ansie che accompagnano da molto, troppo tempo, non solamente i giovani, ma chi è alla ricerca d’un posto di lavoro. Da più parti quando si parla di lavoro, s’invoca l’art. 1 della Costituzione. “ L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” sul falso presupposto che il testo consideri il lavoro un “diritto”, mentre il termine è da intendersi come “valore”. Da questa errata interpretazione, l’amarezza di chi non trovando lavoro, lo considera la negazione di un diritto. Il lavoro è come il cibo: ciascuno deve trovare il modo di procurarselo. La difficoltà nasce non dalla mancanza di offerta, ma dalla domanda che è unica e quando si è in molti a volere la stessa cosa, la ricerca diviene affannosa e/oi inutile. Se in mille vogliamo andare al cinema e i posti a sedere sono cinquecento, è ineluttabile che la metà rimanga fuori, anche se teoricamente ciascuno ha il diritto di entrare. Viviamo in un' epoca in cui la regola, anche in tema di libertà, è il paradosso. Esempio: S’invoca il diritto di fare entrare i cani nei ristoranti. Se un ristorante ha 1oo tavoli che moltiplicati per quattro posti a sedere, può contenere quattrocento commensali e ciascuno porta con sé il proprio cane troveremo quattrocento commensali e altrettanti cani. Il diritto mi consente di portarmi appresso il cane, ma la logica non lo consente e la realtà ancor di più. Ciò significa che anche la libertà ha un suo limite e il lavoro non fa eccezione. Si può essere stanchi per mille ragioni, ma di solito si è stanchi per avere sbagliato in qualcosa: a volere considerare la laurea, per esempio, un diritto a ottenere il lavoro e non un investimento su e per se stessi. La stanchezza è un indebolimento delle proprie forze, ma fortunatamente non è irreversibile. Non comprendo la tragedia di chi l’espatrio lo considera una punizione. Ho conosciuto amici napoletani convintissimi di non lasciare Napoli nemmeno a cannonate, e altri amici che, emigrati, non vorrebbero fare ritorno nemmeno a cannonate. La stanchezza è una condizione di debolezza psicologica. Nessuno nasce dottore, avvocato o insegnante Si diventa e la scelta talvolta può essere sbagliata. Nel secolo scorso i nostri progenitori hanno fatto la scelta, costretti dalla “pancia”, di andare via dal Bel Paese. Oggi che il problema “pancia” non esiste la scelta diventa più traumatica. Da qui la tragedia di molti giovani che non vogliono tagliare il cordone ombelicale che li collega al proprio territorio o ai propri affetti. Un buco nero dal quale occorre uscire per non esserne inghiottiti e la riuscita dipende dall’uso che ciascuno fa della propria intelligenza. Lo studio serve a questo.
Pubblicata su La Sicilia il 17.09.2011 Saro Pafumi

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