mercoledì 25 settembre 2013

La vendita di cibi in strada è qualcosa d'indecente

La vendita di cibi in strada è qualcosa d’indecente.


L’indecenza di vendere cibi per strada è una tradizione che affonda le radici in epoche lontane. Qualunque sia l’origine araba, greca o romana poco importa. Quello che colpisce e stordisce è la permanenza di quest’abitudine che non trova riscontri in paesi civili. Per fortuna qualcosa si è fatto in quest’ultimo cinquantennio, basti pensare a quanto accadeva fino a pochi decenni addietro. Allora, ricordo, i macellai avevano l’abitudine di appendere la carne macellata all’esterno delle botteghe. I “quarti” di vitello penzolavano ancora sanguinanti dal gancio che li sosteneva, assediati da sciami di mosche e vespe alle quali era assicurato il privilegio di assaporarli anticipatamente. Chi aveva un certo pudore usava l’accortezza di deporre ai piedi dei “quarti” una vasca per la raccolta del gocciolamento che abbondante defluiva, col disgustoso risultato che l’espediente comportava il richiamo di un’enorme quantità di altri insetti. Il pubblico abituato a queste antiestetiche visioni, entrava e comprava. “ A merci esposta è menza vinnuta”, poco importa se a portarsi a casa era anche un groviglio di escrementi che gli insetti depositavano. All’epoca la fame era tanta, la carne, un lusso, l’igiene, un capriccio. Oggi la vendita degli alimenti per strada offre la medesima visione di cinquant’anni addietro. Non si vedono i “quarti” che pendono, ma si cucina di tutto e ogni città ha un proprio nutrito menù: u pani ca meusa, i stigghiola, i babbaluci, a quatumi, i cacocciuli arrustuti, u purpu bugghiutu. I gas di scarico che corrodono anche le pietre, si depositano soavemente sui cibi cotti per strada e il tutto va a finire nel ventre dello stomaco. In compenso com’é caratteristico questo modo di cucinare: gli stranieri ne vanno matti e le foto si sprecano, ma non ho visto un solo straniero accostarsi per “gustare il prototipo” fotografato. La foto serve per altri scopi : per fare vedere chi siamo, come viviamo. Guai a parlar male di queste consuetudini. Il men che ti possa capitare è buscarti l’epiteto di persona snob”, con la puzza sotto il naso, che non ama le tradizioni. Poi, se entri in un supermercato, l’igiene ti obbliga ad indossare un paio di guati di plastica per prendere la frutta scelta. Non c’è che dire. Siamo i campioni delle contraddizioni, i fautori delle consuetudini più retrive, i sostenitori dell’igiene “alternata”, i narcisisti dell’obbrobrio. Meglio stenderci sopra un pietoso velo sopra e……

Pubblicata su La Sicilia il 25.09.2013 Saro Pafumi.


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