lunedì 8 luglio 2013

L'individualismo cinico con cui viviamo

L’individualismo cinico con cui conviviamo


Spesso mi chiedo cosa significhi amare il proprio paese. Rispettare l’ambiente, mantenerne l’equilibrio, conservarne le tradizioni, parlare il linguaggio dei propri padri? E’ sufficiente tutto ciò, se questa condotta, pur doverosa, tralascia lo sviluppo della comunità in cui si vive, impedendone il progresso? A volte capita. Quando capita, bisogna interrogarsi se le ragioni di un mancato sviluppo siano imputabili a ragioni obiettive o manchi qualcosa nell’animo umano, che pregiudichi tale sviluppo. Linguaglossa è un esempio, dove il tempo pare si sia fermato a mezzo secolo addietro, con l’aggravante che la dote lasciataci da chi ci ha preceduto, con opere e azioni, è stata corrosa più che dall’inesorabile trascorrere del tempo, dall’apatia di chi è venuto dopo. Purtroppo Linguaglossa non è la sola, basta girare lo sguardo attorno. Spesso una persona si distingue per l’abito che indossa, che, se pur passato di moda, ma dignitoso, conserva la sua insita eleganza, ma se le toppe aggiunte nel tempo o qualche sgualcitura ne inficiano l’originaria forma non è l’abito che perde valore, ma chi lo indossa. Il territorio, nel suo insieme, è l’abito della comunità che ci vive dentro. Preservarlo e conservarlo è un dovere, ma renderlo più fruibile e seducente è un obbligo verso chi ci ha preceduto, ma ancor di più verso noi stessi. Lo sforzo di una qualsiasi comunità d’anime deve essere proiettato a migliorare se stessi, non a vivere di rendita o peggio ancora a sciupare la dote tramandataci. Purtroppo, in certe realtà, il passaggio dall’apatia all’ignavia è breve. Quando una comunità ne resta coinvolta, rischia di annebbiare le proprie facoltà intellettive, scambiando il benessere proprio in neutralità, che impedisce di decidere e progredire. L’individualismo esasperato che caratterizza il mondo moderno finisce con lo svilire il concetto di comunità, secondo cui ciò che non ci appartiene in senso stretto, non è meritevole d’interesse o di tutela. Da qui il lento inesorabile declino di ciò che ci sta attorno, come se appartenesse a un mondo che non ci appartiene. Mi viene in mente una frase di Cicerone quando allude allo zoppo che gioca a palla, incapace di correre e rimandarla, ma solo disposto a ritenerla. E’ come se fossimo tutti zoppi in quest’epoca d’individualismo cinico e smodato e le comunità tutte ne risentono. Saro Pafumi 08.07.2013



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