mercoledì 5 ottobre 2011

Al Sud il lavoro è un obolo

Con gli occhi umidi d’incipiente pianto da farli apparire due perle di luce e un filo di voce che tradiva la sua emozione, mi comunicò le ragioni della sua gioia: “ Finalmente, dopo tanto “chiedere” ho trovato un benefattore che mi ha assunto come apprendista- manovale”. Quel “ chiedere” fu un pugno nello stomaco, perché aveva il significato di chi riceve qualcosa come elemosina e considerare il lavoro un obolo non mi fu facile. Turiddittu, come lo chiamavamo affettuosamente in paese, esile com’era, quasi trasparente, aveva ben d’onde d’essere felice. Per lui che aveva perduto tragicamente il padre-padrone e primo di altri quattro fratelli che, messi insieme , non raggiungevano vent’anni, quel lavoro non era un obolo ma un’autentica ricchezza, perché se è vero che s’era liberato, si fa per dire, dalle angherie paterne, per lui, quell’uomo, restava “padre”, come è chiamato chi porta il pane a casa. “Cinquecento euro al mese, un milione di vecchie lire” aggiunse, forse per fare apparire la paga più sostanziosa. Feci una carrellata mentale tra i giovani di mia conoscenza che avevano pressappoco la stessa età di Turiddittu, scoprendo che nessuno lavorava. “ Sei fortunato” gli dissi, masticando quel “ fortunato” per farlo apparire quasi incomprensibile. “ Trovare lavoro alla tua età”, aggiunsi non so se per felicitarmi o per consolarlo “ti porta lontano, ti tempra, ti responsabilizza” “Al momento” mi rispose “ il mio unico problema è aiutare mia madre a potere mettere “ a pignata supra u focu” mi disse con una vena d’infantile spavalderia, cogliendo sul suo volto l’espressione di chi, senza saperlo, diventa improvvisamente uomo. “Scoprire la felicità sul volto di un ventenne che trova lavoro come apprendista- manuale è una felicità che può assaporare solamente chi abita al Sud” pensai, amaramente, mentre Turiddittu, raggiante, si allontanava, per iniziare la sua prima giornata di lavoro. Pubblicato su La Sicilia il 07/10/2011 Saro Pafumi.

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